Nella stanza dei sensi, dove si riprende il contatto con la vita

Con la tecnologia di videogiochi e concerti, suoni e colori animano pazienti affetti da gravi disabilità, aiutandoli a riappropriarsi di sè. La storia di una sperimentazione nata dall’incontro di molte sensibilità

“Chi vive nel cuore di chi resta non muore mai”

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Nella stanza sensoriale 4 di 10

Fuori da una ex sala riunioni al piano terreno di un grande complesso riabilitativo e di assistenza per disabili si leggerà presto questa scritta.

È il frutto del dolore di una madre che ha perso un figlio. Una donna che ha però saputo trasformare il dramma, e la sua memoria, in un progetto di vita rivolto al futuro: in quella stanza chi ha perso i propri sensi come l’udito, il tatto, o la vista, può migliorarli e far crescere la propria autostima.

Un primo, piccolo passo, per riappropriarsi della vita.

La stanza sensoriale dell’istituto Sacra famiglia di Cocquio Trevisago è un progetto sperimentale che negli ultimi due anni ha dato molti frutti. Sono i piccoli progressi nascosti dietro lo sguardo di un giovane rimasto paralizzato in un incidente stradale e capace di muovere solo gli occhi grazie al colore proiettato sul muro insieme ai suoni. Oppure quelle pennellate riprodotte da un sistema di sensori ogni volta che un uomo in carrozzina muove le mani a distanza di metri: niente vernice, solo le dita nel buio che fanno dei piccoli gesti il segno lasciato sulla parete: evoluzioni di porpora, fiumi di colore azzurro che ti entrano nel cuore perché egli ti sta dicendo: “Io sono qui, quello l’ho fatto io”.

Questa stanza speciale è stata realizzata con la raccolta fondi organizzata dall’Associazione volontari Pro Cocquio Onlus che da sei anni a questa parte organizza feste e memorial dedicati ad Alessandro Zavarise, 25 anni, scomparso in un incidente stradale nell’estate del 2010.

Gran parte dei 13.000 euro serviti per realizzare questo apparato provengono da qui, e dalla volontà di Nadia Bortoluzzi, madre di Alessandro, nel destinare risorse economiche a questo progetto. Il resto l’hanno fatto molte altre donazioni e la passione di un team di esperti nell’affrontare la diasabilità.

Ma ci si è messo anche un pizzico di fortuna.

Da anni, infatti, educatrici, psicomotricisti e fisioterapisti stimolano l’attività “basale” di pazienti con gravi disabilità servendosi di oggetti “fisici” per far loro riappropriare il senso sello spazio, l’olfatto, il tatto.

Ma qualche tempo fa è successo qualcosa di molto curioso. Una delle psicomotocitiste che lavorano qui, Maria Teresa Cavallin, ha notato i “ferri del mestiere” del figlio, ed ha avuto un’illuminazione.

Natan, che di professione gira il mondo facendo il “sound and visual artist” in concerti, un giorno iniziò a trafficare in casa con sensori capaci di riprodurre suoni e luci in lontananza, proprio quello che ipnotizza il pubblico nelle esibizioni live sul palco. Sensori utilizzati anche nelle consolle dei videogiochi. Proprio quello che mancava per dare “corpo” ai progetti riabilitativi che sua madre ha colto al volo.

Così, mentre la raccolta fondi in memoria di Alessandro proseguiva per finanziare questo progetto, di pari passo progrediva anche la sperimentazione attorno alla “stanza sensoriale”. Natan Sinigaglia – questo è il nome dell’artista dei suoni e della luce – ha selezionato le tecnologie, e sono state posizionate le casse in quadrifonia per abbinare il suono alle forme geometriche.

Sono stati effettuati test, e il progetto è stato inserito in scale validate che in tre momenti diversi – con frequenza annuale, semestrale e per ogni seduta – hanno il compito di verificare i risultati ottenuti sui pazienti.

Niente di miracoloso, beninteso: chi si serve di questa stanza è in condizioni di disabilità molto gravi. Ma solo il far seguire dagli occhi il colore o una figura ad una persona immobile, o far provare un’emozione legata a ciò che si può realizzare grazie ai disegni che vengono generati e proiettati sul muro, costituisce un grande miglioramento per questi pazienti.

«In totale una decina di nostri ospiti sono stati seguiti con questo sistema e abbiamo potuto apprezzarne i risultati – spiega Angelo Chessa, direttore delle sedi varesine dell’Istituto sacra Famiglia Onlus – . Il progetto è seguito da un team ristretto di educatrici, psicomotriciste, fisioterapiste e neuropsichiatre infantili. Oltre all’attività residenziale, per ospiti che stanno all’interno della struttura, stiamo pensando di ampliare le sedute anche a pazienti ambulatoriali».

A breve la sala verrà inaugurata con un evento pubblico, per far si che i tanti donatori possano verificare in maniera diretta come sono stati spesi i loro soldi.

«Ricordo ogni giorno mio figlio, ma tutti devono sapere che quanto raccolto in sua memoria, è stato speso per gli altri e per qualcosa di tangibile, e al servizio della nostra gente e dei nostri paesi» – conclude mamma Nadia.

Perché è vero: “Chi vive nel cuore di chi resta, non muore mai”.

Ecco i nomi e la qualifica dello staff che sperimenta l’attività:
Damiana Stanzione, educatrice; Francesca Bosè, educatrice; Maria Teresa Cavallin psicomotricista; Valeria Silvestri, psicomotricista; Patrizia Partegiani, fisioterapista.
Il gruppo di lavoro è supervisionato dalle neuropsichiatre infantili dottoressa Giovanna Morelli e Claudia Caruso.

Un ringraziamento particolare a Maurizio Crugnola dell’associazione volontari Pro Cocquio Onlus

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 22 Settembre 2016
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