La rinascita di Bisio

Un falsopiano nascosto dove dal 1300 venivano fatte pascolare capre e vacche, oggi al centro dell’interesse dell’amministrazione per riportare vecchie coltivazioni

La rinascita di Bisio

Bisio, Bixio, Biss, i tanti nomi di questa estesa radura incantata e sperduta fra i monti della Valcuvia, praticamente invisibile dal fondovalle, stanno sulle cartine geografiche dal medioevo, forse a indicare qualcosa di diverso rispetto al paese che sta più sotto.

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Una “Duno Bis”, verrebbe da dire, anche se qui mai nessuno ci ha davvero vissuto: alcuni ettari di pascoli che dal rilievo satellitare sono uno squarcio di prato nel cuore della montagna fra Valtravaglia e Valcuvia, a seconda del sentiero che si imbocca.

Posti frequentati dai soldati in tempo di pace, con la costruzione della linea Cadorna che qui corre vicina, per via di esercitazioni che avevano lo scopo di stare allenati e rispondere all’invasione dello straniero dal Confine Nord; e posti di uomini in armi, stanchi e con divise posticce che si batterono contro eserciti veri e propri durante l’ultima guerra nella battaglia che prende il nome del monte dove fu combattuta, il San Martino (il 20 novembre correrà la ricorrenza, tra l’altro).

Siamo venuti fin quassù perché raccontare la storia di questo posto può essere il prologo di qualcosa di magico che un tempo si respirava: il vino “clinton” realizzato nelle dolci terrazze, le patate che meravigliose crescevano in quota, e i pascoli. Il foraggio veniva bene, qui a Biss, tanto che alla fine degli anni Cinquanta sorse un consorzio agricolo che raccoglieva il latte dei pascoli della valletta, il “Consorzio Duno”.

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Ma durò poco, neppure un paio d’anni. La struttura in rovina campeggia ancora all’imbocco di questo manipolo di case quasi tutte intorno al falsopiano raggiungibile da una diramazione della strada provinciale che porta in vetta alla montagna.

Alcuni dei fabbricati che qui chiamano “caselli” hanno il tetto sfondato, sono diroccati e alcuni muri di contenimento dei terrazzamenti sono crollati. Ma c’è chi ha ristrutturato delle vecchie stalle trasformandole in deliziose baite di montagna, alcune in sasso a vista e coi tetti di ardesia che nulla ha da invidiare a ben più note località di sapore alpino del Varesotto. E poi i grottini del formaggio trasformati in cantinette, i prati ancora oggi sottratti al bosco dove addirittura oltre al taglio dell’erba vengono rastrellate le foglie.
C’è molto da fare in questo luogo che sa di “casa nella prateria” utilizzato un tempo, come ora, anche dai ragazzini del paese che vengono fin quassù a slittare quando nevica. Ma sono pochi, perché ci sono divertimenti più comodi.

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E pensare che questo alpeggio è stato “scartato” fra quelli visibili per Expo: troppo disordinato, troppe cose da sistemare, difficile da raggiungere.
Per questo spicca l’idea dell’attuale amministrazione comunale di puntare sulla rinascita di Biss.

«Stiamo pensando a un progetto che possa far rivivere quello che a tutti gli effetti era ed è l’alpeggio di Duno con la sua originale vocazione pastorale, col recupero di terreni agricoli per attività speciali – spiega il sindaco Francesco Paglia, che ci ha gentilmente accompagnati in questo sopralluogo insieme all’assessore Marco Dolce . Negli anni passati erano presenti in questo pianoro colture legate alla sussistenza della popolazione del paese che ci piacerebbe venissero ripristinate, mi viene da pensare al grano, alla vite, alle noci, ai castagneti e agli orti che beneficiavano della particolare insolazione per via della posizione».

Infatti da qui il fondovalle non si vede, e per fare un paragone con un oggetto, la conca è come un guantone da baseball: le montagne stanno tutt’intorno creando una depressione che funge anche da caduta delle acque che rendono fertile e umido il terreno. 
Le baite hanno molti tetti in ardesia, le si raggiunge attraverso prati e macchie di fragole selvatiche e muschio.

Ci sono dei pozzi, anche se il torrente che passa da queste parti ingloba le acque e le fa uscire a valle dopo un percorso sotterraneo.

«Occorrerà studiare dapprima le possibili colture su cui puntare, anche sfruttando l’ambito “bio” che qui ben si presta – spiega il sindaco – . Poi occorrerà una ridefinizione urbanistica».

La strada, per esempio, che si dipana dalla SP 45 dir 2 del San Martino è un percorso disconnesso che deve fare i conti col tempo e gli elementi, che da queste parti sono impietosi quando nevica, e per via del gelo.

Manca l’acqua corrente, il gas e i “caselli” abitabili vanno a legna.

Così, tra sovrumani silenzi, si consuma la possibile rinascita di questo luogo che rappresenta un potenziale enorme in termini di natura e cultura locale, ma anche un’opportunità per chi volesse investire e garantire il presidio di territori e tradizioni che non possono andare perduti.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 28 Ottobre 2016
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