“In nome del popolo dei telespettatori”
Processi show e giustizia reale: un corto circuito che rischia di togliere diritti. Se n'è discusso a Varese con il professor Amodio e il giudice Muscato

L’invadenza del processo mediatico crea una sorta di giustizia virtuale che si va sostituendo alla giustizia ordinaria, con gli arresti decisi via facebook o la giustizia amministrata non in nome del popolo italiano, ma in del popolo dei telespettatori. E’ di fronte a questo rischio, che giudici e avvocati, ma anche imputati e giornalisti, si trovano a riflettere ogni giorno, soprattutto di fronte a casi con grande eco mediatica.
Se n’è discusso, a Varese, in un seminario formativo organizzato nella sala Varese Vive dal “Laboratorio permanente esame e controesame di Varese”. Ospite di riguardo il professor Ennio Amodio, uno dei padri nobili del nuovo codice di procedura penale, che ha presentato il suo libro “Estetica della giustizia penale”, il presidente della sezione penale del Tribunale di Varese Orazio Muscato, la presidente della Camera penale di Varese Patrizia Esposito, l’avvocato Fabio Margarini, il giornalista di Varesenews e corrispondente del Corriere della Sera Roberto Rotondo.
Amodio ha tracciato nella sua relazione un quadro importante dello stato delle cose: ha parlato dello spostamento dell’attenzione sulla fase delle indagini rispetto a quella del dibattimento, con una formula definita dal professore la “delocalizzazione” del processo sui media, e si è detto contrario a ogni interferenza della stampa nella fase di indagine, quando ogni fatto è solo presunto e per nulla ancora dettato da alcuna certezza. Amodio ha citato aneddoti e indicato nella invadenza dei media una stortura per il diritto italiano, ha anche invocato il coraggio di porre divieti a certe forme di giustizia spettacolo, in questo seguito dagli avvocati Fabio Margarini e Patrizia Esposito che concordano sulla necessità di porre un freno alle forme più rozze di presentare la giustizia in tv, considerate pericolose per la giustizia e per la tutela di diritti degli imputati.
Il Giudice Orazio Muscato ha ricordato innanzitutto che la giustizia soffre di un problema di mezzi, e che la presenza di pochi addetti e cancellieri costringe tutti a un lavoro fuori norma; ma ha anche spiegato che i giudici devono mantenere saldezza e serenità. E’ nel dibattimento, infatti, che il giusto processo con tutte le sue garanzie trova la piena realizzazione. Il giudice una volta che gli atti si sono decantati ha la possibilità di resistere a ogni pressione e di lavorare per arrivare a capire la verità giudicando con serenità. Muscato ha citato alcuni casi di processi italiani in cui vi è stata una forte pressione sui giudici. Il ruolo di chi giudica, ha spiegato, deve sempre rimanere quello di chi guarda i fatti e la tecnica processuale e non bisogna mai inseguire il consenso, nelle sentenze.
Rotondo ha affermato che il ruolo del giornalista e quello di giudici e avvocati devono rimanere ben separati: il giornalista racconta i fatti e li sintetizza ascoltando tutte le parti in causa; non prende parte, non fa il giudice, non si sostituisce agli avvocati. Il giornalista deve tenere conto che di un fatto non esiste mai un’unica versione e dunque deve sempre essere aperto al dubbio e mai definitivo nella fase delle indagini e durante lo svolgimento del processo. Roberto Rotondo ha distinto tra la tv che insegue lo spettacolo e la cronaca che invece cerca di informare, due forme di giornalismo che hanno obiettivi diversi.
C’è l’intrattenimento e il giornalismo che informa e quest’ultimo spesso ha un personale dotato di esperienza, equilibrio e specializzazione maggiore.
Tutti d’accordo sull’assunto del dottor Orazio Muscato e cioè sul fatto che oggi il codice prescrive il silenzio fino alla fine dell’udienza preliminare ma è utopistico pensare che si possano tenere nascoste all’opinione pubblica certe notizie. Muscato sostiene che in ogni caso, anche con queste regole, seppur non perfette, il giornalista possa fare bene il suo mestiere ed essere bravo e preparato. Amodio ritiene in ogni caso che il legislatore abbia pasticciato nell’estensione dell’articolo 114 del codice di procedura penale sulla segretezza degli atti, creando di fatto una norma ambigua. Rotondo ha rilanciato la proposta dell’avvocato Caterina Malavenda di rendere, con delle regole precise, già disponibili alcuni atti in fase di indagine, con trasparenza e senza il far west attuale. Ma sul punto c’è chi, come l’avvocato Amodio, ritiene che si tratti di una aberrazione.
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