Parla tedesco il “difensore” della Linea Cadorna

La “Frontiera Nord” avrebbe dovuto arginare l’invasione della Germania, ma a cent’anni di distanza il suo “salvatore” parla proprio la lingua di Goethe. L’intervista al professor Peter Faesi che si immerge nella storia di quegli anni

Sono svizzeri i \"salvatori\" della Linea Cadorna

La storia è fatta di opposti che a volte si attraggono, anche dopo diverso tempo.

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Sono svizzeri i “salvatori” della Linea Cadorna 4 di 12

Così capita che un pezzo di linea di fortificazioni che servì di fatto ad impedire un attacco da nord, cent’anni fa, sia stata pulita e preservata grazie proprio ad un uomo venuto dal Nord, da oltreconfine.

Da dove, forse, sarebbe passata l’invasione del Regno d’Italia.

Qualche giorno fa, infatti, una folta delegazione di studiosi svizzeri capeggiata dal professor Peter Faesi è arrivata in Valcuvia, ha raggiunto il forte di Vallalta (fatto esplodere nel 1943 dai nazifascisti durante la battaglia del San Martino), per ridiscendere le fortificazioni della Linea Cadorna.

Il gruppo era accompagnato da Franco Rabbiosi, storico locale e grande conoscitore della “Frontiera Nord”, quell’insieme di fortificazioni che ebbero il compito di difesa militare appunto in vista di una possibile invasione da settentrione, per fortuna mai avvenuta.

Abbiamo chiesto al professor Faesi come mai si studiano queste fortificazioni e quale interesse scientifico possa avere questo complesso lunghissimo di fortini, piazzole per mitragliatrici e cannoni e camminamenti estesi, che coprono centinaia di chilometri fra Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia.

E abbiamo scoperto che si deve proprio a lui e ai suoi ragazzi la conservazione di una parte considerevole di questi monumenti di ingegneria bellica presenti in provincia di Varese.

Sono svizzeri i \"salvatori\" della Linea Cadorna

Peter Faesi è stato professore di storia e di letteratura alla Scuola Universitaria Professionale di San Gallo (FHS) in Svizzera e attualmente è in pensione da sei anni.

Professore, quando incominciò a studiare la Linea Cadorna? E perché è così importante?
«Un mio pallino è sempre stato lo studio della storia, ma in maniera non troppo noiosa e teorica. Quindi ho cercato sempre le possibilità di “sentire”, e di vivere in modo attivo qualche epoca storica, per esempio quella della Prima Guerra Mondiale. Ho dunque visitato con gli studenti i luoghi di guerra sulle Dolomiti. Poi lessi nel libro di Roberto Corbella “Le fortificazioni della linea Cadorna tra Lago Maggiore e Ceresio” (Guide Macchione) che ci sono tantissime tracce della Linea Cadorna nel Varesotto. La Linea è per me particolarmente interessante perché non è tanto conosciuta (in Svizzera non la conosce nessuno) e così gli studenti possono dare un loro contributo alla conoscenza di questi luoghi».

Quante volte è venuto a fare visite o sopralluoghi sulla Linea?
«Vent’anni fa cominciai a cercare e a trovare le posizioni della Linea. Questo progetto non fu facile, perché le descrizioni del Corbella non sono precise (parla sempre di destra e di sinistra invece di nord o di sud). E poi, la Linea è lunga: 72 km di camminamenti, 88 posizioni d’artiglieria, 300 km di strade carrozzabili, 400 km di sentieri…
Ma decisi che il Monte Grumello, sopra il comune di Porto Ceresio, fosse uno dei luoghi i più interessanti della Linea: offre tutta la gamma di camminamenti, trincee, casermette, posizioni per mitragliatrice, ricoveri di una lunghezza totale di due chilometri, ed è facile da risalire.

In più, il sindaco di allora del comune di Porto Ceresio, il dottor Francione, permise ai nostri studenti di pulire le posizioni (nella foto sotto) che, venti anni fa, erano tutte piene di foglie, rami, spine, pietre. In centinaia e centinaia di ore i ragazzi hanno rimosso le macerie, hanno tagliato rami, rimosso i rovi e posizionato cartelli segnaletici. Invece di imparare matematica e contabilità, hanno lavorato con ascia e sega durante le loro vacanze. Con un nastro metrico e una bussola venne disegnata una pianta topografica del sistema. L’idea era di dar loro esperienza intensa, e pratica, di un periodo storico.

Oggi, chiunque voglia seguire il nostro consiglio e decida di salire al Grumello, si immerge completamente nella situazione che si presentava negli anni tra il 1915-1918.
 L’anno scorso, il comune di Porto Ceresio e il suo sindaco, il dottor Ciancetti, ha preso l’iniziativa e insieme agli Alpini di Porto Ceresio ha continuato il lavoro di pulizia e di manutenzione con strumenti più adeguati. dal 2017, la nuova sindaca, la signora Santi, promuove con entusiasmo e competenza la rivitalizzazione di questi luoghi, cosicché il Grumello si presenta oggi come gioiello della Linea».

Sono svizzeri i \"salvatori\" della Linea Cadorna

C’è ancora qualcosa da scoprire sulla Linea Cadorna?
«Certo, certo, vista la lunghezza della Linea. Però consiglierei ai Comuni di concentrarsi sui luoghi i più interessanti. L’ha fatto Porto Ceresio che si concentra sul Grumello, l’ha fatto Viggiù che ha rivitalizzato il Monte Orsa, l’ha fatto Cuveglio con San Martino e anche Cassano Valcuvia. Varrebbe certamente la pena di risistemare le posizioni per i canoni vicini a Brezzo di Bedero. Altri luoghi della linea sono in stato di abbandono e in rovina, quasi inarrivabili a piedi o in macchina».

Qual è la zona della Linea che lei trova più affascinante? E quale quella più importante sotto il profilo storico/scientifico?
«Come ho detto, il Grumello presenta su un terreno limitato quasi tutti gli elementi della Linea. Mancano soltanto i cannoni. Ma questi erano postati sopra il Grumello, nelle caverne del Monte Orsa».

Ritiene che la Linea sia ben conservata e valorizzata? Manca qualcosa nella gestione?
«Negli anni scorsi, l’interesse per la Linea e le attività dei comuni è cresciuto in modo impressionante. Monte Orsa, Monte Bara (nell’Ossola), San Martino in Culmine e naturalmente il Grumello sono conservati e dunque aperti al pubblico in modo esemplare. Ne approfittino turisti e – ancora più importante e pregevole – le scuole».

Un passo indietro: in caso di attacco da Nord, la linea avrebbe retto all’urto dell’invasione?
«Visto che il nemico era l’esercito della Germania, direi che la Linea era un investimento, un lavoro adatto e capace di proteggere la patria. Tenga conto che l’esercito della Germania avrebbe dovuto attraversare la Svizzera e sebbene la Svizzera fosse neutrale, invaderla avrebbe causato perdite. I soldati italiani avrebbero combattuto i tedeschi come hanno fatto sulle Dolomiti o sull’Isonzo, ma da posizioni fortificate. Anche se qui non si è mai sparato, la Linea è stata come un’assicurazione, o un ombrello: importante e necessario anche se non si usa».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 28 Luglio 2017
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