Chiedi chi erano i Lehman

Dieci anni fa falliva una delle più importanti banche di affari americane. Tutti oggi ricordano quel nome, ma pochi sanno della storia dei fratelli Lehman, ebrei askenaziti originari della Baviera. Una saga famigliare degna di un romanzo

crisi fallimento apertura

Too big to fail, si diceva. Cioè troppo grande per fallire. Eppure Lehman Brothers, tra le banche d’affari più importanti al mondo, il 15 settembre di dieci anni fa è fallita. Uno schianto epocale che ha diviso la storia, il mondo prima e dopo Lehman Brothers, tragico starter della peggiore crisi finanziaria ed economica della storia.

Tutti oggi conoscono quel nome. Così come tutti ricordano le immagini degli impiegati e dei manager che escono dalla banca con le scatole di cartone tra le braccia. Quella però è solo l’ultima tappa di una storia epica, durata quasi due secoli. A raccontarla è Stefano Massini nel libro “Qualcosa sui Lehman” (Mondadori), meritatamente finalista al Premio Campiello nel 2017. Una saga famigliare straordinaria che inizia in Europa, a Rimpar, nella Baviera.

I Lehman appartengono a una famiglia di ebrei askenaziti, cioè di origine tedesca. Il primo a mettere piede a New York, l’11 settembre del 1844, è il giovane Heyun. Un nome così difficile da pronunciare anche per l’impiegato dell’immigrazione – che pure di ebrei provenienti dall’Europa ne vedeva arrivare tanti – da essere registrato come Henry. D’altronde il cambiamento è nel destino dei fratelli Lehman. Tutta la loro storia altro non è che un continuo cambiare e reinventarsi, a cominciare dall’attività originaria del padre Abramo Lehman, mercante di bestiame, attività che nessuno dei tre figli vuole fare.

Il clima di New York è troppo simile a quello della Baviera. E non si fa tanta strada per spalare neve anche nel Nuovo Mondo. Henry decide così di trasferirsi nel sud, a Montgomery, in Alabama, dove apre un negozio di stoffe e abiti, roba di prima scelta, e sposa una moglie goy, una non ebrea. I fratelli Emanuel (Mendel) e Mayer lo raggiungono e gli affari dei Lehman decollano grazie al commercio all’ingrosso del cotone.

Il richiamo di New York è però troppo forte. È solo in quella città «che il cotone diventa banconote». Con un piede a Montgomery e uno nella Grande Mela, i fratelli Lehman controllano il mercato. Nel momento in cui tolgono dall’insegna al 119 di Liberty Street la parola “cotton” per sostituirla con la parola “bank“, cambia nuovamente il loro orizzonte. Seppur ancora sognatori, da tempo ormai non sono più i tre giovani di Rimpar esperti solo nel commercio delle stoffe. Il loro fiuto per gli affari punta al nero del caffè, ma soprattutto a quello del carbone e del fumo delle locomotive. È da lì che vengono fuori i soldi, dalla ferrovia da finanziare.

Verranno i tempi dei nipoti di Abramo Lehman, pervasi dal desiderio di dare la scalata al potere, e con loro anche la disastrosa crisi del 1929, da cui il sistema riuscirà a rialzarsi. Sarà il freddo e spregiudicato Philip (figlio di Emanuel), uno che ama tanto le obbligazioni, «foglietti pericolosi che gli addetti della Lehman danno via in grande quantità», a guidare i cugini Sigmund ed Herbert (figli di Mayer), Dawid e il talentuoso Dreidel (figli di Henry), uno in grado di tenere la contabilità del mondo, nel vortice di Wall Street, convincendoli a usare soldi per comprare altri soldi. Ci sono anche Irving e Arthur, gli altri due figli di Mayer: del primo ci si ricorda solo ogni 5 anni e del secondo solo quando c’è da far di conto.

Arriva il turno di Bobbie, figlio di Philip, laureato a Yale ma non certo un guerriero della Borsa. Il giovane Lehman – lo ammette lui stesso – non ha fiuto per gli affari ma abbastanza coraggio per affrontare alla pari il grande Rockefeller, l’avversario in affari di sempre, e proiettare inconsciamente la Lehman verso il futuro e nuovi business, come quello dell’aviazione civile. Quanto basta, suo malgrado, per candidarsi a erede al trono. Con lui ci sono Harold e Allan, figli di Sigmund, e Peter, l’altissimo e galante figlio di Herbert, il senatore. E poi da tempo ci sono i nuovi partners che entrano in banca con lo stesso piglio dei capi senza però portarne lo stesso nome.

Quattro generazioni attraversate da guerre di secessione, conflitti mondiali, cadute del mercato, lutti inconsolabili e rivoluzioni tecnologiche, ma, ad ogni ripresa del gioco, i Lehman, come avviene nel polo, riescono sempre a cambiare cavallo per ricominciare a correre in campo aperto. Tranne che nella partita finale, quella dell’ultima grande crisi, quando ormai da quasi quarant’anni al comando della banca non c’erano più i discendenti di Abramo.

 

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 13 Settembre 2018
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