Giro di spaccio col benestare della cosca: “A Lonate un cartello della droga”

Blitz all'alba con 100 carabinieri per sgominare una rete di 15 spacciatori che facevano capo ad un boss della 'ndrangheta appena uscito dal carcere: il figlio gestiva un bar e un parcheggio di Malpensa

carabinieri laveno mombello

Gli anni di carcere non lo hanno fiaccato e non lo hanno nemmeno cambiato. Emanuele De Castro, luogotenente della locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo, condannato a quasi dieci anni di carcere nel 2008 e considerato il collettore economico del gruppo, è uscito di galera e ha subito aperto un locale al figlio Salvatore, il bar Atlantic già teatro di estorsioni da parte del padre in passato e che con la gestione De Castro aveva subito assunto il ruolo di collettore di tutta la criminalità legata al mondo dello spaccio, presente a Lonate Pozzolo.

Per questo stamattina all’alba, lunedì, il paese è stato invaso dalle auto dei carabinieri, 50 per la precisione e tutte con i bitonali accesi per far sentire a tutti che anche Lonate Pozzolo lo Stato c’è e che Lonate Pozzolo non può diventare un fortino della droga dominato da un cartello di spacciatori.

Oltre 100 militari, supportati anche da un elicottero, hanno eseguito quindici ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip di Busto Arsizio Patrizia Nobile (dieci delle quali in carcere) nei confronti di altrettanti soggetti su richiesta della Procura di Busto Arsizio.

L’indagine, condotta dal sostituto procuratore Rosaria Stagnaro e completata dalla collega Flavia Salvatore, è stata presentata nella sede del comando provinciale dei Carabinieri di via Saffi dal procuratore aggiunto Giuseppe D’Amico, dal comandante provinciale Claudio Cappello e dal comandante della Compagnia di Busto Arsizio Marco D’Aleo.

L’INDAGINE PARTE DA UN TENTATIVO DI SUICIDIO

L‘inchiesta Atlantic nasce dal tentato suicidio di un giovane del paese, salvato dai carabinieri poco prima che potesse mettere in atto l’insano gesto. Dal suo racconto si apre un vero e proprio filone d’indagine: il tentato suicidio, infatti, era la conseguenza dei debiti di droga che aveva con Michele Pagliari, uno degli odierni arrestati, il quale usava il suo appartamento per stoccare la sostanza stupefacente in cambio di qualche dose da consumare gratuitamente. Quando il giovane ha commesso l’errore di far sparire la cocaina che teneva in custodia, è iniziata la persecuzione da parte del Pagliari che chiedeva indietro 1200 euro a copertura dell’ammanco causato dal giovane. Richieste pressanti, proseguite anche dopo il tentativo di suicidio, condite da schiaffi in pubblico e piazzate condite da insulti e umiliazioni varie, ovunque lo incontrasse.

Da questo episodio inizia un’attività intensa da parte dei militari ma molto accorta e poco visibile in quanto a Lonate Pozzolo la sorveglianza del territorio da parte di questi elementi è minuziosa al punto che, alcune volte, anche clienti reali ma dal volto poco familiare vengono respinti all’uscio senza troppi complimenti. Gli uomini agli ordini del capitano D’Aleo hanno dovuto lavorare con grande discrezione e per un periodo molto lungo prima di ricostruire la rete che contava centinaia di clienti, quasi tutti italiani e moltissimi del posto. Probabilmente il canale lonatese era considerato molto meno rischioso di quello boschivoai confini con Busto e Magnago.

I NOMI DEGLI ARRESTATI

La rete di spacciatori era composta da Salvatore De Castro (figlio del noto Emanuele), Michele Pagliari, dalla famiglia Torquitto (Angelo e Marco) che gestiva il chiosco all’interno del bar Rafael fino a qualche mese fa, Teodoro Leonardi, Andrea Ceriani, Antonio Liccati, Massimo Brognara, Nino Gagliostro, Anna Teresa Matinata, Zakarya Safoine, Mohamed Masboul, Angelo Alabiso, Simone Cataldo Fortino, Mattia Montanari, Luigi Stefano Martino.

I centri dell’attività di spaccio erano due: il bar Atlantic di via Dante (che da febbraio di quest’anno ha una nuova gestione che prende le distanze dai suoi predecessori, ndr) e il chiosco all’interno del parco Sant Rafael, struttura comunale gestita da privati. Qui gli spacciatori incontravano i clienti: cocaina, hashish e marijuana che veniva smistata con il benestare di Emanuele De Castro, finito anche lui nell’indagine per essere stato sorpreso a frequentare pregiudicati, violando la misura di soggiorno obbligato a cui è ancora sottoposto dopo la scarcerazione. Un terzo luogo, qualche volta utilizzato anche per spacciare, è il Car Parking Malpensa di Ferno, altra attività del figlio Salvatore, diventata preminente dal momento in cui è stato ceduto il bar ma chiusa dai militari del Nucleo Ispettorato del Lavoro per aver trovato tre dipendenti di cui tre in nero.

LA FIGURA DI EMANUELE DE CASTRO

L’influenza su tutto il gruppo di Emanuele De Castro, in quanto appartenente alla ‘ndrangheta, è riconosciuta da tutti anche se non viene mai coinvolto nell’attività di cessione della droga. Il suo peso si fa sentire quando c’è da mettere paura, come nel caso delle due cameriere del bar Atlantic che vengono prese a schiaffi perchè si erano permesse di insistere nel chiedere il loro stipendio (anche qui senza uno straccio di contratto): prese a chiaffi e pugni si rifugiarono in un bar poco distante dove i proprietari, vedendole sanguinare, avevano chiamato i carabinieri. Davanti agli uomini dell’Arma le due ragazze si sono rifiutate di denunciare.

TUTTI GLI ATICOLI SUL CASO

L’intera conferenza stampa potrete vederla qui

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 15 Ottobre 2018
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