Quando le emoji introducono i bambini alla scrittura
Le emoticon preferite, l'uso ripetitivo della stessa immagine e le prime parole: le osservazioni sul tema della linguista Gretchen McCulloch
Da quando Apple nel 2011 le integrò per la prima volta nella tastiera dei sui iPhone, le emoji sono diventate un modo universale per comunicare senza parole o aggiungere alle conversazioni scritte delle sfumature altrimenti difficili da rendere in pochi caratteri nei dialoghi a distanza. Un sistema che inserisce la mimica facciale o gestuale nella comunicazione scritta, molto intuitiva, destinata a cambiare il modo in cui i bambini approcciano al linguaggio scritto.
Molti bambini ormai iniziano ad usare le emoticon ancor prima di imparare a leggere e scrivere e la linguista Gretchen McCulloch, già studiosa del fenomeno delle emoji nella comunicazione digitale, ne ha fatto materia di attenzione, con un sondaggio, i cui risultati sono stati citati in un articolo di Wired.
IL FENOMENO
Le emoji fanno in modo che i bambini si trovino a contatto con la parola scritta come mai prima d’ora.
Tradizionalmente le parole scritte a portata di bambino sono quelle stampate su una scatola di biscotti, sul libro letto dal genitore, quelle delle insegne o dei primi testi scolastici. Fino a pochi anni fa era improbabile che un adulto scrivesse qualcosa a un figlio incapace di leggere e scrivere. Ma ora, sempre più spesso, i bambini “scrivono” messaggi e ricevono a loro volta delle risposte, magari da un adulto (la zia, il genitore o l’amichetto aiutato dalla sua mamma) sia in forma di emoji che con parole di senso compiuto. Così, anche senza conoscerne a pieno il significato, si trovano protagonisti attivi di una comunicazione scritta.
LE EMOTICON DEI BAMBINI
A un primo sguardo l’utilizzo delle emoji da parte dei piccoli in età pre scolare può sembrare del casuale, ma il sondaggio sul tema condotto dalla McCulloc ha rivelato alcuni tratti comuni.
Tanto per cominciare c’è una differenza tra i bambini di età inferiore ai tre anni e quelli con un’età compresa tra i tre e i cinque anni, che preferiscono animali, unicorni, cuori e la cacca.
In molti casi poi i bambini utilizzano la tastiera in maniera meccanica, per esempio mettendo in fila delle emoticon che già si trovavano vicine sulla tastiera o ripetendo anche 20 volte di fila lo stesso simbolo nel messaggio.
ADULTI E BAMBINI A CONFRONTO
Nonostante i bambini siano così avvezzi all’uso delle emoji, il significato che danno loro è in alcuni casi molto diverso da quello inteso dagli adulti. Una differenza di significato comune e già indagata tra persone di madrelingua differente, ma su mai analizzata sul binomio adulto-bambino.
Per esempio emoji che vengono solitamente usate con intenzioni ironiche dagli adulti, come la faccina che piange di gioia o quella che piange a dirotto, sono assenti nelle conversazioni dei bambini, che invece ne preferiscono altre il cui significato è più immediato, come il bacio o la linguaccia. Per lo stesso motivo forse i bambini tendono a non usare emoji che rappresentano gesti delle mani come il pollice alzato o le mani giunte in preghiera.
E se gli adulti usano le emojii come complemento di una frase, inserite di solito alla fine, per rafforzare un concetto, i bambini tendono ad utilizzare un gran numero di emoji in un singolo messaggio. Questa metodologia si mantiene anche in bambini di sei anni che hanno appena imparato a leggere e scrivere, ma si entra qui in un’età in cui però alle lunghe file di faccine casuali cominciano ad aggiungere qualche parola scritta.
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