All’Insubria per parlare di stereotipi di genere: una realtà che continua a esistere
Psicologi, storici, avvocati, musicisti e politici si sono interrogati su diversi problemi che riguardano la parità di genere in occasione della conferenza che si è tenuta giovedì 11 aprile 2019 all’Università degli studi dell’Insubria

«Sei un maschio, anche se ti sei fatto male non devi piangere!», «vedi quelle donne davanti alla macchinetta del caffè? Stanno di sicuro spettegolando su qualcuno», «questo tipo di lavoro non è adatto a una donna»: queste sono semplici frasi, ma fanno capire che il modo in cui consideriamo i due generi maschile e femminile è ancora oggi influenzato da stereotipi radicati in profondità nella nostra cultura. Di questo tema si è discusso all’Università degli studi dell’Insubria giovedì 11 aprile in occasione della conferenza sugli stereotipi di genere.
Ma quando iniziano a svilupparsi nella mente delle persone questo tipo di stereotipi? Innanzitutto, gli psicologi convengono sul fatto che non esiste una correlazione diretta tra sesso biologico e cultura di genere. «Infatti – ha spiegato Claudio Longobardi, docente di Psicologia all’Università di Torino -, la cultura di genere, così come gli stereotipi, sono una forma di apprendimento influenzata dall’ambiente che circonda il bambino».
Uno studio svolto su un campione di oltre mille bambini e bambine tra i sei e gli undici anni, ha mostrato come le ragazzine tendono a rappresentare loro stesse con molti più particolari che richiamano la propria femminilità (ad esempio: capelli lunghi, abiti, gonne, trucco…) rispetto a come i ragazzini rappresentano i loro compagni maschi.
«Secondo una teoria – ha aggiunto Claudio Longobardi –, l’esaltazione all’interno della nostra società di virtù come collaborazione, altruismo e socialità facilita il riconoscimento delle caratteristiche femminili. Al contrario, il disprezzo verso comportamenti che richiamano maggiormente il mondo maschile come violenza e aggressività provoca maggiori difficoltà a riconoscere le caratteristiche tipizzanti nei ragazzini».
Alcune volte però, gli stereotipi di genere si trasformino in vera e propria discriminazione. «Le donne – ha spiegato Gabriella Sberviglieri, rappresentante del centro d’ascolto Eos – dedicano alla cura della casa e della famiglia in media 28 ore alla settimana, mentre gli uomini solo 12». Secondo gli esperti questa differenza è dovuta all’antichissima tradizione che vede la donna come “angelo del focolare”.
Un altro esempio di discriminazione è il “gender pay gap”: la differenza di salario a parità di ore di lavoro tra uomini e donne. «Il pay gap tra uomo e donna in Europa – ha spiegato l’avvocato Raffaella Pirotta – è secondo Eurostat del 16,3%. Questo dato non tiene però conto di altri fattori, come il diverso tasso d’occupazione, che per gli uomini è del 72%, mentre per le donne è solo del 61% e che nelle aziende le posizioni manageriali di alto profilo sono occupate solo per il 33% dalle donne».
La ricerca scientifica non sembra essere un ambiente favorevole con le donne. Nonostante nelle università scientifiche il numero di studentesse stia crescendo più velocemente di quello degli studenti maschi, sono poche le donne che riescono a raggiungere i vertici della ricerca e del mondo accademico. «Esiste un fenomeno – ha spiegato Michela Prest, docente di fisica delle particelle all’Insubria – chiamato “leaky pipeline”, per il quale moltissime scienziate abbandonano la carriera e solo poche riescono a raggiungere le posizioni più prestigiose, che sono quasi sempre ricoperte da uomini».
Gli stereotipi non hanno risparmiato neppure il mondo della musica. «Nel mondo della musica – ha fatto sapere la musicista Natalia Kotsioubinskaia – esistono alcuni tabù per le donne. Per molto tempo le musiciste non hanno mai suonato strumenti musicali che avrebbero deformato il viso durante l’esibizione, come ad esempio la tromba. Anche il violoncello è poco praticato dalle musiciste, perché la posizione a gambe allargate che si deve assumere per suonarlo viene da alcuni considerata “sconveniente” per una donna».
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