Allarme coronavirus, Francesco Wu: “Si rischia una frattura tra cinesi e italiani”

Mentre i primi effetti della paura del contagio iniziano a farsi sentire nelle attività gestite da cinesi, aumentano gli episodi di intolleranza. Intervista al referente delle comunità straniere in Confcommercio Milano

Francesco Wu, referente di Confcommercio Milano per le comunità straniere, sta facendo una vera e propria maratona tra talk show, interviste a giornali cartacei e on line, incontri con politici, commercianti e imprenditori cinesi per fermare quello strappo che si sta aprendo tra la comunità cinese residente in Italia e il resto della società civile italiana. L’allarme coronavirus, la paura di un’epidemia, i danni commerciali, economici e sociali che ne derivano sono gli ingredienti di una frattura che rischia di lasciare segni per lungo tempo nella convivenza fino ad oggi pacifica tra cinesi e italiani.

Lo abbiamo intervistato nel suo ristorante di Legnano, il Borgo Antico, che propone cucina italiana con personale italiano: «Se il mio locale non ha risentito di questa vicenda, ci sono molte attività qui in zona, nelle grandi città e in tutta Italia che stanno soffrendo. Questa sofferenza è dovuta ad una naturale paura di contagio ma quello che dico a tutti è di informarsi bene e di non dare seguito alle tante notizie false che sono circolate in questi giorni» – spiega subito Wu.

Come sta vivendo la comunità cinese in Italia questo momento? «I cinesi di prima generazione sono quelli più preoccupati perchè da un lato devono fronteggiare il sospetto degli italiani e dall’altra leggono e si informano tramite i media cinesi di quello che accade nel loro paese d’origine. Quelli di seconda generazione, invece, sono più tranquilli. Sono nati qui e conoscono bene la qualità del sistema sanitario italiano che sta mettendo in atto le misure necessarie a isolare i casi che si sono verificati e che, ricordiamo, sono sempre e solo due, ricoverati allo Spallanzani di Roma».

Quali sono invece le conseguenze economiche? «In un’economia mondiale così integrata le ricadute di questa situazione non sono circoscrivibili alla sola Cina. Basti pensare che quest’anno era previsto un numero di turisti cinesi in Italia stimato attorno ai 4 milioni di visitatori, se calcoliamo che ognuno di loro avrebbe speso sui 3 mila euro il conto è presto fatto e arriva a 12 miliardi di euro. Se poi aggiungiamo i tanti ristoranti giapponesi gestiti da cinesi, i cosiddetti “all you can eat”, il conto si fa ancora più salato e coinvolge i tantissimi fornitori italiani a cui fanno riferimento queste attività. Ho parlato con uno dei più importanti e su un fatturato di 90 milioni rischia di perder 9 milioni di euro in un anno».

I risultati di questo calo sono evidenti. Legnanonews ha intervistato i gestori di uno dei primi ristoranti giapponesi a Legnano, lo Yamakawa, che stima un calo del 50% della clientela. Il mercatone New Angel di Castellanza, che vende principalmente prodotto di abbigliamento realizzati  dalle aziende cinesi a Prato, stima un calo del 30% e si è trovato costretto a mettere un cartello nel quale si specifica che tutti i dipendenti non sono stati in Cina negli ultimi tre mesi e che sono state prese tutte le precauzioni necessarie per evitare ogni pericolo di contagio.

Cosa si sente di dire, dunque, Francesco Wu agli italiani? «Dico che non sono qui a difendere la Cina quando non può essere difesa. Forse questo problema poteva essere gestito meglio e, soprattutto, prima che il virus potesse diffondersi in questo modo ma dico anche che non c’è da aver paura dei cinesi che sono qui. Gli atti di intolleranza che si sono moltiplicati in questi giorni sono inaccettabili e devono essere stigmatizzati. Chiedo agli italiani di non stare a guardare quando un cittadino cinese viene insultato e di intervenire».

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 06 Febbraio 2020
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