Il virus in Iran, studenti dell’Insubria intervistano i colleghi persiani

Da un seminario universitario nasce un dialogo con due ragazzi iraniani; il loro punto di vista sulla situazione di emergenza che in Iran conta oltre 38 mila casi ufficiali e 2640 morti

Università dell'Insubria

Nel seminario di “Giornalismo tra diritti e libertà” Francesca Cisotto e Riccardo Beretta, studenti all’Università degli studi dell’Insubria di Varese, hanno intervistato due studenti iraniani, Mohammad e Hussein, venendo così a conoscenza di come la Repubblica islamica dell’Iran stia affrontando l’emergenza delle emergenze e cioè la crisi causata dal coronavirus. Lo hanno fatto grazie alla collaborazione tra la professoressa Farian Sabahi dell’Università dell’Insubria e la professoressa Antonia Shoraka dell’Università Azad di Teheran.

Un intervistato vive in Iran, l’altro in Germania. Entrambi raccontano una realtà edulcorata dai media iraniani ma “in crisi come qualsiasi altro Paese”.

Mohammad ha 31 anni e vive nella capitale Teheran. Studia Italianistica all’Università Azad e lavora come grafico editoriale. Al telefono racconta come la situazione da quelle parti, in pieno Nowruz (il capodanno persiano), sia controllata: «Paesi come Italia, Spagna e Germania hanno annunciato con grande enfasi la quarantena, mentre in Iran non c’è questa severità; i media dicono solo che “sarebbe meglio rimanere a casa”» spiega Mohammad invitandoci a cercare su internet le foto delle strade iraniane, ancora decisamente troppo affollate.

«Per le vie delle città si vede un traffico sostanzialmente normale perché la gente, qui, non dà importanza a quello che sta succedendo, non pensa alle conseguenze e viaggia verso nord per le vacanze come se il problema non li riguardasse. Solo le persone con dei famigliari ammalati di Covid-19 stanno attente; si pensa sempre “non succederà a me” fino a quando non ci si capita dentro» e questo Mohammad lo sa molto bene da quando ha visto la sorella soffrire «sotto ossigeno in ospedale».

La situazione, secondo Mohammad, è «molto diversa da quella in Europa e molto più grave rispetto a come viene raccontata. La verità è che l’economia dell’Iran è in una crisi profonda, alle sanzioni internazionali contro il regime degli Ayatollah si aggiungono i problemi che porta il coronavirus e quelli legati al capodanno perché durante le feste gli iraniani sono abituati a stare insieme e a spostarsi in altre località; tutto ciò si scarica su noi cittadini, tutto è difficile».

Hussein ha 30 anni e lavora in un ristorante a Weiden, in Germania, come aiuto cuoco, ci ha raccontato di come politica e sanzioni stiano inevitabilmente influenzando negativamente la lotta al coronavirus. Riccardo ha conosciuto questo giovane iraniano durante l’Erasmus e oggi, da Weiden in der Oberpfalz, dove da due anni studia e lavora, spiega il suo punto di vista su quella sua terra d’origine forse “troppo orgogliosa”: «Vivendo in Germania non posso avere una visione precisa, ma posso tracciare un confronto su cosa sta avvenendo qui, nel cuore dell’Europa, con ciò che accade in Iran, dove la mia famiglia si trova al momento e che chiamo regolarmente – racconta Hussein. A questo riguardo, il coronavirus in Iran si diffonde come in qualsiasi altro paese in quanto fenomeno naturale, ma vorrei dire che la gente è meno attenta alle norme rispetto alla Germania o ad altri Stati; questa negligenza è alla base della diffusione del contagio. A questo aspetto si aggiungono le lacune del sistema sanitario e del governo, che non fornisce adeguata protezione, come sarebbe opportuno, alla popolazione».

Infatti, pare che la Repubblica islamica dell’Iran stia gestendo la comunicazione della crisi semplicemente “non comunicando” e che la popolazione non la stia prendendo benissimo: «Questa epidemia ha ulteriormente minato il rapporto fra il popolo e il governo iraniano: la gente non crede a quello che i media raccontano dato che i principali mezzi di informazione sono sotto il controllo delle autorità. Ho letto notizie riguardo il sistema sanitario italiano che non riesce a contenere e curare molti pazienti; questo tipo di notizie non sarebbero permesse dal governo iraniano. La gente ha perso la fiducia nei media e di conseguenza nel governo – ci tiene a precisare Hussein -. Anche il numero dei morti non viene comunicato dalle autorità, in quanto potrebbe far pensare nell’incapacità dello stesso di contenere la crisi. Ma sottostimare la crisi rischia di mettere in maggiore pericolo la popolazione».

Hussein affronta anche il problema delle sanzioni «Non vi è dubbio che la capacità dell’Iran di rispondere all’epidemia di coronavirus sia ostacolata dalle sanzioni economiche», sanzioni che anche l’ONU ha chiesto di sospendere per permettere all’Iran di fronteggiare la crisi sanitaria in corso.

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Pubblicato il 30 Marzo 2020
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