Salvato dal batterio “mangia carne” con un trapianto di pelle dalla coscia alla spalla

Un uomo di 47 anni è stato salvato con un difficilissimo e complesso intervento effettuato dal professor Mario Cherubino. 97 giorni in ospedale per ricomporre l'epidermide erosa dall'infezione rara e pericolosa

chirurgia professor cherubino

Un intervento quasi impossibile ha permesso a un uomo di 47 anni di ritornare a casa dalla moglie e dalle due figlie di 19 e 17 anni.
Mentre l’ospedale di Varese apriva i suoi letti ai pazienti Covid sempre più numerosi, in una parte del Circolo il professor Mario Cherubino iniziava la sua battaglia contro un’infezione devastante: la fascite necrotizzante.

Vittima un uomo che, reduce da un’operazione in un ospedale milanese, era rientrato a casa ma continuava a non stare bene: « Dopo l’intervento alla colonna vertebrale – ricorda il signor Cristian – stavo ancora male, un malessere generale che non sembrava avere apparente spiegazione. I medici che mi avevano in cura minimizzavano e negavano conseguenze legate all’intervento. Io, però, mi sentivo sempre peggio. Ero stanco, spossato, non riuscivo nemmeno a parlare al telefono. Finché, sabato 7 marzo, sono svenuto».

Così Cristian arriva al pronto soccorso del Circolo « Al suo arrivo si muoveva ancora sulle sue gambe – ricorda il professor Mario Cherubino, Professore Associato di Chirurgia Plastica Ricostruttiva dell’Università dell’Insubria e responsabile della Microchirurgia e Chirurgia della Mano – ma nel giro di qualche ora le condizioni sono precipitate». Gli organi di Christian stavano cedendo uno a uno.

L’uomo peggiora all’improvviso e alla moglie Daniela e alla figlia maggiore, chiamate in ospedale, viene prospettata una drammatica alternativa : « Dobbiamo staccare la spina, ma io voglio tentare un intervento disperato. Non so se ne uscirà vivo» spiega il chirurgo.

La famiglia di Cristian piomba nella disperazione: «Pensavamo fosse un calcolo renale e invece stava morendo» ricorda Daniela.

L’intuito del chirurgo plastico, con una lunga esperienza nella chirurgia ricostruttiva, è fondamentale: « Nella mia carriera mi ero già imbattuto nella fascite necrotizzante. Un’infezione molto rara ma pericolosissima. Sapevo che non c’era tempo da perdere».

La fascite necrotizzante è un’infezione: batteri che distruggono i tessuti molli, come la pelle, i fasci muscolari. Viene anche chiamata “sindrome dei batteri divoratori di carne”.

Quando Cherubino entra in sala chirurgica, con la particolare tuta protettiva contro il Covid, intuisce l’estensione dell’infezione: « Ho preso una decisione difficile – commenta  – La mia attività nel campo della ricostruzione mi permetteva un’analisi dettagliata e complessiva dei rischi a cui si andava incontro. Senza un intervento, però, per Cristian non c’erano speranze».

Il chirurgo plastico inizia a togliere la pelle dell’uomo disteso sul lettino: la zona interessata è ampia, dalla coscia sino alla spalla.  Il lavoro è certosino, nel primo dei dieci interventi che saranno fatti, il professore taglia e ripulisce tutti i tessuti infetti, per non dimenticare nulla ed eradicare gli agenti patogeni. Cinque ore di intervento molto complesso e faticoso: « Fondamentale è stato l’apporto degli anestesisti che hanno supportato il paziente con numerose trasfusioni di sangue. Una volta conclusa l’operazione, l’uomo è stato trasferito in terapia intensiva per permettere la ricostruzione dei tessuti».

La ricostruzione richiede tempo: l’uomo è sempre sedato ma i progressi ci sono e fanno ben sperare. Per altre 7 volte l’uomo torna in sala operatoria, ogni volta per ripulire il derma mentre le ultime due sedute servono per l’autotrapianto di pelle che sostituisce la pelle artificiale.

Alla fine, dopo 100 giorni, Cristian torna a casa, guarito. Non ricorda nulla di quei drammatici giorni, li rievoca ogni tanto attraverso pezzi di racconto della moglie, che, invece, ha seguito passo passo la terribile esperienza: « Sono stati giorni durissimi – racconta Daniela che è sempre stata al fianco del marito fino alla chiusura degli ospedali il 14 aprile – Per 27 giorni è stato ricoverato in terapia intensiva. Era diventata ormai la mia seconda casa. Quando non sono più potuta entrare, l’ho lasciato che riusciva a muovere sole le dita della mano. Mi sono aggrappata al professor Cherubino che mi ha sempre tenuto aggiornata, ma anche al personale, medici e infermieri, tutte persone di grande umanità».

Oggi Cristian è ancora “convalescente” dopo 97 giorni di degenza. Durante la permanenza in terapia intensiva ha perso 20 chili, tutta la massa muscolare che ora sta faticosamente recuperando: « Quando mi sono svegliato mi sono ritrovato completamente immobile – ricorda l’uomo – Non sapevo perché e mi sono spaventato. Però, sono grato al personale dell’ospedale di Varese, mi hanno accudito con grande capacità e umanità».

Una storia rara e drammatica che oggi, però, si può raccontare con un lieto fine: «Sono davvero soddisfatto di come è andata – commenta il primario – Cristian è tornato dalla sua famiglia e sta bene. C’è voluto un gran sangue freddo e molta determinazione per affrontare un’infezione così estesa. Abbiamo salvato una vita. Averlo fatto, poi, mentre c’era l’emergenza sanitaria, quindi proteggendo il nostro paziente ci rende ancora più fieri».

La famiglia di Cristian si sente miracolata: « Noi siamo di Brescia e abitiamo qui da 13 anni. Non avevamo, però, mai avuto a che fare con l’ospedale di Circolo. Ho incontrato un medico a me sconosciuto che mi ha dato una notizia terribile. Uscendo dalla stanza, dopo il primo incontro, ricordo che mi ha detto: sono Cherubino. E io gli ho risposto: lei è l’angelo custode di mio marito».

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

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Pubblicato il 26 Giugno 2020
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