Test rapidi e infermiere scolastico per la riapertura a settembre
Il pediatra Marco Montalbetti sul medico scolastico: "poco utile, meglio l'infermiere scolastico". E servono test rapidi, altrimenti in autunno sarà caos

Proposta in Lazio da un consigliere regionale del Movimento 5 stelle settimana scorsa, l’idea di reinserire la figura del medico scolastico (scomparsa oltre 20 anni fa) in vista del rientro in classe a settembre è stata dibattuta per giorni, ottenendo pareri favorevoli soprattutto tra i presidi, che sperano di avere un aiuto concreto e un protocollo di intervento certo per il monitoraggio della salute nelle scuole. Favorevole anche Alberto Villani, presidente della Società Italiana di Pediatria, secondo cui “l’educazione e la cultura sanitaria nelle scuole è fondamentale e il Medico scolastico ne sarebbe tutore e garante”.
Della proposta si sta occupando anche del Comitato di esperti del Miur che per ora prevede un generico “referente per le scuole” in ogni dipartimento di prevenzione territoriale.
L’idea però non convince il pediatra Marco Montalbetti, coordinatore Simpef (Sindacato medici pediatri di famiglia) per Ats Insubria (Varese e Como), convinto che la soluzione giusta sia guardare avanti e non indietro a “una figura che ha perso di senso con l’introduzione del pediatra di famiglia fino a scomparire alla fine del secolo scorso”, afferma. L’idea non convince non solo per l’evoluzione storica di questa figura, ma anche per le concrete e particolari necessità di sicurezza sanitaria scolastica dovute al Covid19. “Poco prima di andare definitivamente in pensione il medico scolastico distribuiva pastiglie di fluoro, controllava non ci fossero piedi piatti e scoliosi, organizzava le vaccinazioni e poco più”, ricorda Montalbetti.
La sfida per il prossimo rientro in classe a settembre è ben diversa: “Ora le scuole hanno bisogno di supporto nel controllare eventuali sintomi e possibilmente effettuare test diagnostici veloci per isolare velocemente eventuali casi di coronavirus, ma per fare questo sarebbe più corretto assumere più infermieri – spiega Montalbetti per ragioni sindacali anche di prospettiva occupazionale – è auspicabile una massiccia assunzione di infermieri per affiancare i medici e rafforzare così la sanità territoriale in generale, non solo nelle scuole. Sarebbe una scelta strategica valida sia nel momento contingente, legato all’emergenza sanitaria, sia in prospettiva per migliorare l’efficacia del sistema sanitario. Ma non basta”. E qui la questione si fa tecnica: “Servono tempi di intervento diversi da quelli attuali“, afferma.
Oggi, in un momento di relativa calma dal punto di vista pandemico, con pochi nuovi casi e la progressiva riduzione dei casi gravi che richiedono ospedalizzazione, dal momento in cui si individua un caso sospetto al momento della diagnosi passano, nel pubblico lombardo, circa 10 giorni: “Cinque giorni sono mediamente necessari a ottenere il tampone e altri cinque per ottenere il risultato”, spiega Montalbetti che non prende in considerazione i test sierologici perché “possono contribuire a fornire un’idea della diffusione del contagio ma sono nulli dal punto di vista diagnostico”.
“Con questi tempi ai primi colpi di tosse e alle prime febbri stagionali il sistema andrà in panico. Non si possono bloccare le famiglie, o intere scuole, per dieci giorni a ogni colpo di tosse”, afferma Montalbetti.
La speranza è che dopo la prima fase di sperimentazione l’efficacia di test rapidi, come quello salivare messo a punto da due giovani dell’università dell’Insubria possano risultare efficaci “e soprattutto – avverte Montalbetti – che il sistema sanitario pubblico investa in questi test perché siano a disposizione della medicina territoriale per individuare e isolare tempestivamente ogni eventuale nuovo caso”.
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