Il papà delle vignette dialettali: “Io, bocciato in seconda elementare perché scrivevo Itaglia“

Gregorio Cerini, 82 anni, felice per la riuscita della sua mostra, fra le prime nel Paese. “Il dialetto si parla fin dove arriva il suono delle campane”

La mostra di vignette dialettali di Gregorio Cerini

Due anziane amiche entrano, si tolgono gli occhiali per meglio leggere e osservare le figure disegnate a matita e d’un tratto cominciano a ridere a crepapelle.

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Non proprio pochi, e pure buoni buoni: i visitatori della mostra di fumetti dialettali di Gregorio Cerini  una vera chicca tanto da essere considerata una delle prime se non la prima in Italia – ha riscosso un successo inaspettato soprattutto per questi tempi di Covid, e per il tema: una cinquantina sono stati i visitatori che fino a qualche giorno fa potevano soffermarsi fra le vignette ospitate dal centro Pino Moia del paese di Orino, quartier generale della cultura vernacolare della Valcuvia che fra testi in dialetto e oggetti della tradizione artigiana locale è candidato a piccola capitale del vernacolo.

«Sì il vero regalo me l’hanno fatto i visitatori che si sono davvero gustati questi disegni fatti spesso durante le lunghe sere d’inverno negli ultimi anni», spiega Cerini soddisfatto, accompagnato dal sindaco di Orino Cesare Moia, e dalla sua vice Raffaella Meroni. Tratti a volte semplici, a volte più elaborati, con messaggi dal senso popolare e saggio, tinta verbale che solo il dialetto è in grado di riassumere.

E pensare che non si può parlare di dialetto se non al plurale dal momento che lo stesso Cerini non ha dubbi: «Ul dialet, el finis quand se senten pü i campann». Il dialetto cioè nasce in un posto ma proprio come un buon paesano che si rispetti vive fra le “mura“ del borgo e svanisce subito dopo aver oltrepassato la distanza che permette all’orecchio di percepire le campane.

«Nella mia Arcumeggia, per esempio (che di per sé non è neppure un paese, ma frazione di Casalzuigno ndr) basta che ti muovi da una località all’altra e senti già cambiare la pronuncia».

La mostra di vignette dialettali di Gregorio Cerini

Quindi tanti dialetti, nessun dialetto? Calma. I tratti distintivi della lingua parlata sono comuni e omogenei per aree geografiche, il varesotto – il bosino – è più simile al ticinese come affinità linguistica, come il comasco, ma rientrano tutti in quella grande barca rappresentata dall’inflessione pronunciata all’ombra della Madonnina: il milanese suona diverso, aperto, un po’ snob, ma sempre riconducibile per le parole e le pronunce, a quello che invece si parla sotto al Bernascone.

Sul tema sono tuttavia in corso dibattiti che guarda caso si tengono proprio a Orino dove in periodo pre covid, il mercoledì, si parlava solo l’idioma locale, così tanto e così bene che queste conversazioni sono state racchiuse in testi dove oltre al lustro linguistico si rispolverano anche tradizioni e personaggi pure recenti ma che rischiano di perdersi se non messe nero su bianco.

E adèss? Che fine faranno i disegni del Cerini? «Adèss arriveranno ad Arcumeggia». Domenica è prevista l’apertura della mostra proprio nel paese natale di questo signore di 82 anni che ora vive a Varese ma cha ai tempi dei calzoni corti le scuole le faceva proprio in Valcuvia (la mostra sarà visitabile all’ufficio informazioni turistiche del borgo).

Una chicca: era il 1944 e Cerini venne bocciato in seconda elementare. Motivo? «Avevo scritto Italia con la “gl“. Io e altri quattro amici: tutti bocciati».

Chissà se quest’uomo, oggi scrittore, poeta e con 25 anni di teatro alle spalle, farà entrare anche questa storia – che suona come una barzelletta – nella sua prossima vignetta in dialetto.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 03 Settembre 2020
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