Le bandiere e le canzoni partigiane salutano per l’ultima volta Carla Locarno
Staffetta minorenne nel 1945, per tutta la vita ha portato avanti la testimonianza e l'impegno per gli ultimi: un albero con tanti rami e frutti
Era un germoglio verde nel 1945, staffetta partigiana ancora minorenne. E oggi Carla Locarno – la Carla, la chiamano tutti a Verghera e Samarate – è un albero, che in decenni di vita ha alzato i rami al cielo e donato frutti: «Io sono uno dei suoi rami e dopo vent’anni ne sono spuntati altri», dice la figlia Valeria.
Carla Locarno se n’è andata a 95 anni di età, vissuti nella Resistenza, poi nell’impegno per la testimonianza di quel che era stato e nelle «battaglie per i bisogni dei più umili e nell’interesse della collettività», come ha detto Mario Marchesini, presidente dell’Anpi Verghera-Samarate.
E oggi il suo impegno e la sua testimonianza vivono in chi – famigliari, amici, compagni – ha voluto abbracciarla per l’ultima volta. «Il ricordo di Carla, che non è più con noi, è ammantato di dolore e malinconia. A noi piace ricordarla per l’allegria di cui ci ha fatto dono e per l’amicizia che ci ha fatto più ricchi».
La cerimonia funebre si è tenuta alla chiesa di Verghera, sul sagrato all’uscita si sono schierati i labari dell’Anpi provinciale, delle sezioni Anpi di Gallarate e Samarate, della zona del Varesotto e anche dal Milanese (Vanzaghello), il gonfalone del Comune di Samarate e quello degli Artiglieri, presenti anche il sindaco di Samarate e quello di Ferno, il paese in cui cadde Nino Locarno, fratello di Carla.
C’era ogni anno, Carla, alla commemorazione dei Cinque martiri di Ferno. «E ogni volta mi diceva: “alla banda ci ho pensato io”, ci teneva» ricorda la presidente Anpi provinciale Ester De Tomasi. E la banda di Verghera c’era anche oggi, a salutarla, con le note di Bella Ciao, di “Valsesia” (l’inno dei partigiani di Moscatelli, con cui la brigata di Carla era in contatto), di Fischia il vento, del silenzio.
Massimo Ceriani ha letto il ricordo di Carla, messo su carta lo scorso anno, del giorno del 25 aprile 1945, tra la neve fine che cadeva, la gioia della Liberazione, il dolore per suo fratello: «Bisogna mettersi in testa di non fare più la guerra;tutti devono essere uguali nei diritti e nei doveri. E avere rispetto degli altri popoli. Spero per i miei nipoti, per Mattia che sta diventando grande, che ci sia la pace». Un dolore sempre presente – ha ricordato ancora Marchesini – trasformato «in una straordinaria lezione di civiltà».
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