Tornare al lavoro in presenza è urgente, ma serve la life esperience

La socializzazione è fondamentale per la nostra vita. Dopo l'esperienza del lockdown chi lavora vuole una completa integrazione tra l’esperienza di lavoro e quella privata

Generica 2020

Cosa significa socializzare? Perché è così importante e ci manca così tanto? La socializzazione è un processo che inizia in famiglia, prosegue nella scuola e si dispiega per tutta la vita lavorativa e oltre, di ognuno di noi. Secondo la Treccani: “Per socializzazione si intende il complesso processo attraverso il quale l’individuo diventa un essere sociale, integrandosi in un gruppo o in una comunità. Tale concetto sottolinea come lo sviluppo della personalità non sia determinato univocamente né da fattori genetici né da fattori ambientali, bensì dall’interscambio dinamico e contingente tra individuo e ambiente”. Oggi con la neuro-sociologia sappiamo che le relazioni sociali giocano un ruolo fondamentale per la sopravvivenza, poiché i neuroni si modificano biologicamente e le strutture cerebrali si trasformano attraverso le nostre esperienze di socializzazione. Le relazioni sociali sono fondamentali, quindi, per la nostra salute e la qualità della vita.

Il professor Francis McGlone, neuroscienziato della Liverpool John Moores University, afferma che dovremmo considerare il cervello come un muscolo che deve essere esercitato e sfidato, con interazione sociale, novità e varietà. Il cervello è un organo sociale, dice. Dopo 12 mesi di “lockdown del cervello“, stiamo iniziando a vedere alcune conseguenze in termini di memoria, solitudine, depressione e ansia quando viene disattivata quella capacità di socializzare.

Vari studi hanno dimostrato che le persone che sono sole hanno volumi cerebrali ridotti nella corteccia prefrontale, e ciò influisce sul processo decisionale e sul comportamento sociale. L’isolamento prolungato può influenzare l’ippocampo (apprendimento e memoria) e l’amigdala, che aiuta a elaborare le emozioni. Se il cervello non è costantemente sfidato dall’interazione sociale, la sua capacità di elaborazione inizia a diminuire.

Il mondo del lavoro è una delle agenzie di socializzazione ad alto potenziale e allo stesso tempo profondamente in crisi. Disoccupazione giovanile, pari opportunità per le donne, lavoro part-time e lavoro in nero, riduzioni del personale nelle aziende e problemi del pensionamento, sono tutti fenomeni che impattano le dinamiche di integrazione sociale positiva, e la pandemia ne ha approfondito le dinamiche e le contraddizioni. Tornare a studiare, lavorare, vivere in presenza è una priorità umana urgente, oltre che economica.

Parlare di sport alla macchinetta del caffè o dell’ultima serie vista su Netflix molto probabilmente non aumenta la produttività, ma contribuisce in modo spesso determinante alla nostra motivazione, ingaggio e in ultima istanza quindi alla nostra performance. Siamo esseri estremamente sociali, anche se con gradazioni molto diverse da soggetto a soggetto, e generalmente non amiamo il senso di distanza e di relazioni limitate imposti dalla gestione sanitaria emergenziale, perché le connessioni arricchiscono la nostra vita, forse la definiscono. Ci sono almeno sei diverse dimensioni di valore sottese al concetto di socializzazione nel contesto lavorativo.

IDENTITÀ SOCIALE

La teoria dell’identità sociale parte dall’osservazione per cui nell’uomo è spontanea la tendenza a costituire gruppi, a sentirsene parte e a distinguere il proprio gruppo di appartenenza da quelli di non-appartenenza, facendo emergere dei meccanismi di bias cognitivo ed un comportamento di favoritismo per il proprio gruppo e viceversa. Per farlo, utilizziamo età, genere sessuale, posizione sociale o lavorativa, religione, appartenenza politica, tifo per una squadra di calcio, ideologie di riferimento, appartenenza etnica, e così via. In questo modo costruiamo una gerarchia di appartenenze multiple in continua evoluzione dinamica. Essere a contatto con gli altri ci permette di confrontare costantemente i nostri gruppi con quelli opposti per alimentare il senso di superiorità e quindi di autostima che ne deriviamo. È un processo naturale che si nutre abbondantemente degli scambi in presenza fisica.

IDENTITÀ CULTURALE

Le norme culturali più significative non sono scritte, ma ne facciamo esperienza diretta vivendole quotidianamente. Gli scambi in presenza ci permettono di conoscerle meglio, e coi nostri comportamenti contribuiamo a rafforzarle o sfidarle. Essere certi della cultura ci dà sicurezza anche se siamo arrivati da poco. Dal vivo questo processo di assimilazione è rapido, a distanza può essere proibitivo.

APPRENDIMENTO SOCIALE

Sapere, saper fare e voler fare sono dimensioni interconnesse e dipendenti dagli scambi con gli altri. Possiamo imparare dai libri, dai podcast e anche guardando un video di Tiktok di 15 secondi da soli. Ma affinché la conoscenza si traduca in azione di valore, è necessario confrontarsi, condividere semi di idee, teorie, saperi che, incrociandosi e intersecandosi, creano qualcosa di nuovo e di utile. La sperimentazione, la stimolazione reciproca, il conflitto a volte, fanno emergere le idee vincenti. La comunicazione in presenza permette di usare tutta la palette di colori del pantone, non solo il codice binario degli zero-uno.

MATURAZIONE SOCIALE

L’esperienza di apprendimento e crescita condivisa fornisce una base motivazionale, che va oltre l’oggetto della conoscenza o abilità acquisita. Dà un senso di unione e di consapevolezza dell’interdipendenza fertile. Il gruppo, il collettivo, acquisisce una qualità superiore alla somma delle parti e una valenza che travalicano il contributo individuale, garantendone la sopravvivenza e sostenibilità.

SUPPORTO SOCIALE

Quando le persone stanno insieme possono contare prontamente sulle risorse di cui hanno bisogno. In questo modo vengono favoriti comportamenti più creativi e innovativi, perché c’è una rete di protezione reciproca a disposizione.

TESSUTO SOCIALE

La frequentazione in presenza permette il percolare costante di elementi personali nella comunicazione informale e nel vissuto condiviso. Ascolto una telefonata, intercetto un malumore, vedo un vestito nuovo, e in questo modo involontariamente entro nel mondo dell’altro e l’altro nel mio. Questo ci permette di conoscere meglio le persone con cui lavoriamo, studiamo, collaboriamo come clienti e partner, e quindi alimenta un circuito di fiducia e relazioni di vicinanza.

In sintesi, tutte queste connessioni ci permettono di preservare ed espandere il capitale sociale e relazionale, che, a livello individuale, rende il lavoro soddisfacente (o meno) e, a livello organizzativo, permette coesione e performance. Citando Charles Dickens: “La comunicazione elettrica non sarà mai un sostituto del viso di qualcuno che con la propria anima incoraggia un’altra persona ad essere coraggiosa e onesta”.

Smart working vade retro allora? Dobbiamo tornare a lavorare come prima? Dobbiamo davvero tornare a ciò che pensavamo fosse normale? Assolutamente no: serve un nuovo paradigma del lavoro fatto di elementi hard e soft. Come abilitare nuovi modi di lavorare che offrano spazi sicuri, protetti e sani per facilitare l’innovazione e la sinergia? I temi caldi oggi sono la qualità e la circolazione dell’aria interna, la ionizzazione, la prevenzione e il controllo delle infezioni, i metodi di pulizia e disinfezione e la prevenzione della contaminazione. Vengono introdotte opzioni touchless, pulsanti a sfioramento autopulenti e materiali resistenti ai batteri. C’è una rinnovata attenzione al benessere dei dipendenti e a come far sentire i lavoratori più a loro agio in ufficio. Lo spazio è sempre stato importante, ma ora deve funzionare in modo fluido e flessibile per supportare l’incontro delle persone ed essere un fulcro per le attività; riflettere la cultura dell’azienda ispirando l’innovazione e il raggiungimento degli obiettivi. Deve riunire persone, pensieri e attività in modo confortevole e sicuro. La pedonabilità, i servizi (bici e scooter) e la possibilità di accedere agli spazi di lavoro esterni saranno fondamentali per migliorare l’esperienza lavorativa.

C’è un’incredibile opportunità per gli uffici e gli edifici per uffici di differenziarsi. Ora come mai, l’ufficio dopo-Covid dovrebbe essere un posto fantastico in cui lavorare. E questo è solo l’antipasto del nuovo paradigma. Infatti è chiaro che il concetto di employee experience è insufficiente. Chi lavora vuole una completa integrazione tra l’esperienza di lavoro e quella privata, personale: si impone una revisione del concetto verso la Life esperience. Le organizzazioni che si focalizzano esclusivamente sul creare la migliore work experience, corrono il rischio di non soddisfare i propri talenti. Le aspettative hanno sempre avuto a che fare con l’ambiente di lavoro, il trattamento, lo stile di leadership, le opportunità di crescita…oggi conta anche di più l’effetto che il modo di lavorare ha sulla propria esperienza quando non si sta lavorando. La compenetrazione spazio-temporale di vita e lavoro di cui abbiamo vissuto l’esplosione in questi mesi di lavoro da casa è solo la cornice materiale del vissuto individuale. Le videochiamate hanno scoperchiato la vista sulle dinamiche personali, le identità, le affiliazioni, i veri luoghi dello status (o no) economico- sociale di ogni lavoratore. Questo crea nuove opportunità di intreccio della propria narrazione pubblica nel contesto lavorativo, che a loro volta influenzano le dinamiche di inclusione o esclusione. In un turbinio di ansie e slanci, alcuni si ritraggono spegnendo le webcam e rifluendo nella propria domesticità, estraniandosi così dai nuovi flussi generativi, da cui altri traggono invece alimento ed energie, anche di carriera, oltre che di benessere. Questa è una sfida epocale e ineluttabile per ogni organizzazione che vuole stare al passo coi tempi.

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Pubblicato il 27 Marzo 2021
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