Quando un click può mettere a rischio un’intera impresa, a Glocal Univa affronta il “cyber crime”

Come proteggersi dagli attacchi informatici? L’Unione degli Industriali di Varese parla di una questione delicata per aziende e privati, che, tra “falso senso di sicurezza” e maturità tecnologica, nell’era post-covid dovrà “ripartire da zero”

glocal - univa

Con la tecnologia che ci permette di essere iper-connessi in qualsiasi momento, spesso in una sovrapposizione tra la sfera personale e lavorativa, oggi può bastare un semplice click sullo smartphone di un dipendente per compromettere e consegnare a criminali informatici dati di lavoro di un’intera azienda. Ma come nascono questi pericoli? E come permettere a imprese e a privati di difendersi dagli attacchi informatici, sempre più all’ordine del giorno? Per rispondere e affrontare queste domande a Glocal2021 l’Unione degli Industriali di Varese ha organizzato un panel dedicato alla “cyber sicurity”, che, tra “falso senso di sicurezza” e maturità tecnologica, nell’era post-covid dovrà “ripartire da zero”.

«Il cybercrime è la fonte della terza economia mondiale. Solo nel 2021 ha portato a una perdita del 6% del PIL – spiega  Filadelfio Emanuele, responsabile di cyber security alla Elmec rispondendo, in dialogo con Marco Castiglioni e Luca Massi, alle domande di Silvia Giovannini, social media manager di Univa e moderatrice dell’incontro.

In particolare, come sottolineato dal responsabile di CybergON, il mercato italiano si distingue per essere un’eccellenza mondiale (dall’informatica al design, passando per la ricerca) custodendo uno dei principali contenitori di dati sensibili per quanto riguarda le aziende, con una media di 600 attacchi subiti, questi almeno i numeri che le aziende hanno voluto comunicare, ma probabilmente si tratta solo della punta dell’iceberg».

Secondo Emanuele le aziende devono infatti essere consapevoli che non esiste un livello di sicurezza informatica garantito al 100% ma che comunque è  possibile abbassare il rischio, a volte attraverso semplici accortezze per superare il “falso livello di sicurezza”, come possono essere degli investimenti sulla comunicazione e soprattutto sul riconoscimento dei pericoli, dai link di “fishing” al corretto aggiornamento del backup dei dati.

«Senza un approccio strutturato è difficile proteggere il dato – sottolinea Marco Castiglioni, cofounder di Cubesys – e la protezione del dato è inevitabilmente la base di tutti i modelli di sicurezza». Ma se c’è un fattore che può mettere a rischio il dato, quello senza dubbio il fattore umano, come la negligenza o la corruzione, qualcosa di imponderabile per le macchine, che, “se parlassero tra loro, senza intervento degli esseri umani”, lascerebbero i dati con più facilità al sicuro.

Tra gli esempi citati da Castiglioni sull’importanza del fattore umano quello che fa maggiormente riflettere è uno studio inglese secondo il quale in molti casi «sarebbe sufficiente offrire l’equivalente in sterline di una serata al pub in cambio di una password». L’utilizzo di una password uguale per ogni portale (dal profilo privato Facebook di un lavoratore all’accesso alla posta aziendale) e la conseguente sincronizzazione tra diversi account in unico dispositivo costituisce un altro fra i principali rischi per le aziende, una sorta di cavallo di troia: «Ormai la tecnologia unisce ogni aspetto della nostra vita – fa notare Emanuele e Luca Masi -. Sul nostro cellulare, lo stesso che inconsciamente diamo a nostro figlio per giocare con chissà quale app, sono salvati e memorizzati dati personali e di lavoro, oppure accessi bancari: a questo punto può bastare un singolo attacco informatico per consegnare nelle mani di malintenzionati tutti i dati. Un altro caso è  rappresentato da sms per il pagamento di presunti dazi dogali: si crede di dover ricevere un ordine via posta e invece con un click si dà accesso a tutti i nostri, partendo dalle carte di credito».

Per porre una soluzione al problema Univa ha così voluto stilare ‘Il decalogo della sicurezza informatica nelle imprese’, una guida, a cura di Luca Massi, responsabile dell’area Sistemi informativi di Univa, per avvicinare le imprese che ancora trascurano la sicurezza informatica. «Abbiamo individuato dieci punti più evidenti – illustra Massi – Se le azienda si approcciassero con attenzione a questi dieci punti avrebbe una visione del problema di sicurezza informatica molto più chiara e raggiungerebbe un livello di sicurezza più adeguato».

«Se un utente di un’azienda è vittima di fishing (ovvero la truffa informatica) non deve aver paura o vergognarsi a comunicarlo all’azienda prima che il danno diventi irreversibile per l’intera impresa. Un consiglio semplice ma da non sottovalutare è quello di fare manualmente le “pulizie di primavera”: ovvero svuotare la cartella di posta, cancellando tutti quei dati di lavoro non più necessari».

Una questione dunque non solo tecnologica, ma soprattutto di cultura, sensibilità, comunicazione interna ed esterna. Come nel corso di una pandemia, come abbiamo imparato nell’ultimo anno e mezzo, ognuno può infatti costituire un “vulnus” e deve assumersene la responsabilità. Proprio per questo fondamentale diventa la presenza di un esperto che sappia preparare tutta l’azienda per riconoscere attacchi informatici o che sappia per tempo bloccare l’emorragia di dati e fermare l’espansione del danno, a livello tecnologico, comunicativo e umano, per poi ripartire in sicurezza.

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Pubblicato il 12 Novembre 2021
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