Parte da Busto Arsizio la protesta della magistratura contro la riforma dell’ordinamento giudiziario

In sei punti le toghe hanno riassunto i timori di perdere autonomia e di essere equiparati a dipendenti di un'azienda, a partire dal sistema di valutazione del lavoro

sparatoria palazzo giustizia milano

Il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, all’esame della Commissione giustizia della Camera dei deputati, sta provocando molta preoccupazione tra i magistrati. Timori espressi in un documento di 4 pagine che è stato realizzato a Busto Arsizio e condiviso dalle toghe di tutta Italia.

Il testo attuale si compone dall’originario disegno di legge delega Bonafede e dal maxiemendamento del Governo Draghi. Entro la fine di marzo, dopo la presentazione degli emendamenti, il testo passerà al voto della Camera.

Sulla proposta di riforma il Governo non ha posto la fiducia e i pm sono preoccupati «per un ulteriore limitazione dell’indipendenza del magistrato» citando come esempio «l’emendamento per impedire qualsiasi passaggio di funzione, e il ritorno in auge della responsabilità civile diretta del magistrato».

Di seguito i sei punti sui quali i magistrati di Busto Arsizio sentono l’esigenza di esprimere la propria preoccupazione

1) Diritto di tribuna ai laici e diritto di voto all’Avvocatura in sede di Consiglio Giudiziario sulla valutazione del magistrato: nell’ambito dell’autogoverno della Magistratura, il riformatore introduce un fattore di controllo esterno sull’operato e sulla professionalità del magistrato, senza peraltro contemplare nessun requisito di terzietà per neutralizzare i possibili conflitti d’interesse. L’Avvocatura, per definizione, parteggia, presta il suo patrocinio ed è interprete di pratici e specifici interessi – da cui dipende il compenso legittimo spettante all’avvocato –, pertanto il membro laico che esercita la professione forense non avrebbe i requisiti formali d’indipendenza, poiché la sua valutazione sarebbe comunque condizionata dall’interesse specifico (e di categoria) di cui rimane portatore . Il ‘valutatore’ del magistrato deve essere ed apparire imparziale. Così si avrebbe una sostanziale erosione dell’autogoverno della magistratura.

2) Gerarchizzazione del potere giudiziario: la riforma prevede che il Consiglio Giudiziario acquisisca, a campione, la documentazione necessaria ad accertare l’esito degli affari nelle successive fasi o gradi del procedimento o del giudizio – la bontà di un provvedimento sarà parametrata sulla sua ‘tenuta’ –. Eppure il procedimento penale e il processo civile sono strutturalmente aleatori, proprio perché non è possibile stabilire con certezza a priori il risultato. Ogni giudizio deve postulare una indispensabile e autonoma valutazione. Il riformatore introdurrebbe uno strumento molto pericoloso perché offrirebbe l’argomento statistico (pseudo-obiettivo) per costringere a stereotipare i giudizi, verticalizzando il potere giudiziario.
La disposizione avrebbe come effetto immediato l’istituzione (o per meglio dire: la riedizione) dell’alta e della bassa magistratura – per contro il nostro ordinamento, a differenza di quanto proposto dalla riforma, contempla un potere diffuso.

3) Pagelle sulla capacità organizzativa del magistrato: la riforma prevede che per ciascun magistrato sia espresso un giudizio (discreto, buono o ottimo) con riferimento alla sua capacità di organizzare il lavoro. La norma è stata concepita per la selezione dei direttivi e dei semi-direttivi, tuttavia non sono specificati i criteri di obiettivazione del giudizio.
La disposizione si presenta estremamente problematica
In ogni caso, si tratta di una disposizione molto insidiosa, perché attribuisce un potere rilevante al soggetto deputato a formulare la valutazione, con la conseguente drammatizzazione della gerarchia degli uffici giudiziari.

4) Obbligo di rispettare i programmi annuali di gestione dei procedimenti pendenti, la cui inosservanza sarebbe sanzionata  in sede di valutazione di professionalità e con appositi illeciti disciplinari che sono stati previsti ad hoc sia per il magistrato che per il capo dell’ufficio. Viene istituito un parametro aziendalistico di valutazione del lavoro del magistrato e del capo dell’ufficio basato sulla percentuale di smaltimento dei procedimenti (taylorismo giudiziario).

5) Il passaggio da una funzione all’altra viene ridotto a due volte: la disposizione punta a dividere l’unità della Magistratura e rappresenta l’anticipazione della separazione delle carriere. La proposta si fa interprete di un principio che ha come fine dichiarato quello di dividere e contrapporre l’attuale ordine giudiziario. In verità il passaggio di funzione rappresenta un arricchimento professionale perché consente al magistrato di maturare una visione globale attingendo prospettive diverse con l’unico fine di giustizia.

6) La disciplina dei c.d. “fuori ruolo”: l’art. 19 (emendamento del governo) prevede una disciplina molto restrittiva sul ricollocamento del magistrato a seguito dell’assunzione di incarichi apicali e incarichi di governo non elettivi. La disposizione stabilisce che i magistrati collocati fuori ruolo per l’assunzione di incarichi non elettivi a connotazione tecnica presso Ministeri, Consigli e le Giunte regionali per un periodo di tre anni decorrente dal giorno di cessazione dell’incarico sono destinati allo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali, né giudicanti né requirenti, che saranno individuate dai rispettivi organi di autogoverno. La nuova disciplina avrebbe l’effetto (piuttosto evidente) di escludere i magistrati dai ruoli tecnici ministeriali, che invece verrebbero ricoperti da altre categorie professionali.

«Su questi punti essenziali  – concludono i magistrati di Busto nella loro lettera all’Associazione Nazionale Magistrati – possiamo e dobbiamo ritrovare l’unità per esprimere insieme la nostra riprovazione. La finestra temporale è strettissima, dobbiamo assumere posizione; occorre dare con urgenza un chiaro segnale di risolutezza per costringere l’interlocutore politico a sopprimere ed emendare i punti della riforma che sono irricevibili. Esprimiamo concordi e compatti il nostro dissenso: questo documento è destinato alla più ampia diffusione e condivisione, quale base per l’adozione di una risoluzione della magistratura unita, imprescindibile interlocutore del riformatore».

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Pubblicato il 08 Aprile 2022
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