L’ora d’oro è ora. Lezione dalla pandemia Covid-19

Le riflessioni di Giuseppe Geneletti: Che cosa avremmo fatto, o no, che cosa sarebbe accaduto, o no, nelle nostre vite senza la pandemia?

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Che cosa avremmo fatto, o no, che cosa sarebbe accaduto, o no, nelle nostre vite senza la pandemia? Non è certo presto, e nemmeno tardi, per fare una riflessione personale in merito.

Forse non avremmo cambiato o ristrutturato casa, conosciuto nuove persone che si sono rivelate importanti nella nostra vita, iniziato una nuova sfida professionale, chiuso l’attività di famiglia, smesso di fare i pendolari o di fumare, oppure esattamente il contrario, o un fritto misto delle due.

A livello personale, non avrei cambiato città e quindi casa, non lavorerei la maggior parte delle mie giornate da remoto, non avrei passato così tanto tempo fianco a fianco della mia famiglia, certamente avrei viaggiato molto di più e incontrato meno persone attraverso le video chiamate, probabilmente sarei andato più serenamente sul Monte Bianco nel 2020, come era previsto dal progetto M4810 (e non lunedì scorso tra mille esitazioni per una scala di rischio oggettivamente diversa).

A livello globale, c’è chi pensa che l’isolamento fisico di Vladimir Putin, ossessionato dal rischio di contagio, e l’aridità emotiva delle comunicazioni esclusivamente a distanza che ha reso meno efficaci i canali diplomatici, siano con-cause dell’invasione russa in Ucraina. Certamente i colli di bottiglia delle catene di approvvigionamento globali non si sarebbero manifestati con l’intensità e longevità che ancora oggi condizionano pesantemente gli scambi internazionali, ormai altamente interdipendenti da decenni di specializzazioni, motivate da economie di scala globali. Non lo sapremo mai con certezza, perché non c’è la prova del contrario.

Abbiamo forse riscoperto l’importanza della salute, dei legami familiari, delle relazioni con le persone che contano veramente nella nostra vita, in alcuni casi forse troppo tardi. Abbiamo scoperto che non si può dare per scontato proprio nulla, compresa la libertà di movimento e di lavoro, il diritto alla privacy e alle cure. In termini economici, credevamo che non fosse possibile fare scostamenti di bilancio oltre il 3% in Europa. Invece sono arrivate risorse con così tanti zeri che quasi ogni mese ci sono decreti che valgono come una finanziaria dei tempi pre-Covid. Servirebbe però qualcuno che ci ricordi che l’Europa certo ci fornisce la credibilità e la certezza di far parte di un sistema di sussidiarietà, ma prima (senza M. Draghi), o poi, qualcuno quei soldi li dovrà ripagare.

Abbiamo riscoperto, le nostre profonde differenze e divisioni sociali. Qualcuno, che era già forte prima, ha trovato il modo di avvantaggiarsi, qualcuno, che era già sull’orlo del precipizio, è andato a fondo. In generale si è acuita la polarizzazione, le differenze tra chi ha e chi non ha più, e non ne può più.

Quello che possiamo intuire e iniziare consapevolmente a metabolizzare è come la pandemia ha confermato o modificato il nostro modo di pensare. Ad esempio, su quello che crediamo, o non, che sia vero o essenziale nella vita. Se ci fidiamo degli altri, in generale, e di chi ci sta attorno, in particolare, se ci fidiamo delle istituzioni, cioè dei loro rappresentanti, se abbiamo più e meno fiducia nella scienza e negli esperti. Inoltre, possiamo riflettere su come abbiamo cambiato idea nel tempo, oppure no. Quali dubbi abbiamo sciolto e quali rimangono dilemmi? Certamente le vaccinazioni funzionano, ma abbiamo scoperto che non durano per sempre; sappiamo che il tasso di mortalità dipende molto dalla capacità di tenuta del sistema sanitario a partire dall’utilizzo delle terapie intensive, che alcuni ospedali non avevano nemmeno; abbiamo certamente imparato che la pandemia non uccide solo i vecchi e i malati. È stato un tempo straniante e inatteso, e in parte continua ad esserlo, anche per nuove ragioni che ogni giorno si affastellano su un base resasi già precaria. Davanti a questi eventi e moti interiori, ci sono quelli che sono diventati ancora più scettici e forse anche un poco cinici, certamente spaventati e arroccati nelle loro case fisiche e mentali; altri che sembrano essere impermeabili e intoccabili, al di sopra della marea montante delle ondate successive, e chissà se finite.

Certamente sarebbe stato meglio che non ci fosse, ma dato che invece c’è stata, meglio cercare di trasformarla in un’opportunità. Come canta Bruce Springsteen: “Se la vita non ti dà altro che limoni, fai della limonata”. Spesso ci attardiamo in un tempo che non esiste più o ancora. Il tempo della vita è il presente: l’attimo in cui decidiamo chi siamo, cosa vogliamo e lo mettiamo in pratica, liberandoci dai fantasmi del passato e dribblando le nuvole che oscurano il futuro. Se c’è una lezione che il Covid-19 ha offerto a tutti è che l’ora d’oro è ora. Quell’idea per una vita più felice, che conserviamo nel cassetto da sempre, tiriamola fuori; quel gesto di unione con il prossimo, che abbiamo ignorato sul lavoro, nel vicinato, nella famiglia, nella comunità, intraprendiamolo con fiducia; quel ringraziamento interiore per tutto quello che la vita continuamente, comunque, ci offre come opportunità, non tardiamo a esprimerlo con gioia. Il passato ci fagocita con le sue sirene di paura. Il futuro ci spaventa con i suoi spazi di indeterminazione. In un mondo in cui sembra che la velocità sia tutto, il tempismo vale molto di più. Cogliere l’attimo è il nostro potere magico.

“Il tempo è tutto attaccato” Natale Geneletti [mio papà]

di
Pubblicato il 16 Luglio 2022
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