Il diritto alla stanchezza per le mamme
La riflessione di una mamma, educatrice, di fronte alla tragedia di una trentenne per la morte di suo figlio neonato soffocato nel sonno

La notizia di oggi, del neonato soffocato tra le braccia della mamma addormentata, mi stringe il cuore come non mai.
Come qualunque altra madre, ho ricordi chiari e indelebili dei miei parti, mentre restano più sfocati i giorni successivi.
La nascita della figlia mezzana in particolare modo. Il secondo cesareo, a casa avevo un bambino di nemmeno due anni. Non avevo quindi riposato granché in gravidanza.
Lei era nata da poche ore, io avevo addosso una gran dose di felicità, una flebo e il catetere. La bambina mi è stata portata per la notte e ho bene in mente il mio sgomento. Come l’avrei sollevata, tra l’ingombro del catetere e quello della flebo? L’avrei sorretta con la bocca dalla collottola, come i micetti?
Una ostetrica sgarbata mi rispose con una frase che ha segnato per anni la mia concezione di maternità.
“Una madre ce la fa sempre”. Ci ho creduto, quella notte e tante altre a venire, sommersa dalla fatica e dal senso di inadeguatezza, dalla paura di chiedere aiuto ed essere giudicata una madre non sufficientemente buona.
Sono passati quasi diciotto anni, ma la narrazione della maternità sacrificale è ancora drammaticamente attuale.
La notizia di oggi, del neonato soffocato tra le braccia della sua mamma, spezza il cuore.
A questa madre, affondata oggi nel dolore più atroce, vorrei arrivasse l’appoggio di ogni madre, ogni donna che ha provato a smarrirsi nelle maglie di un accudimento solo da dare e non più da ricevere.
Vorrei che le arrivasse il pensiero, l’energia e la compassione.
Con la speranza che soffino abbastanza forte da spazzare via, se non il dolore, almeno il senso di colpa.
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