Federica di Lisanza che abbatte i muri in nome di Tommy e Cecilia
Lo ha fatto per i suoi bambini, affetti da Sma, e per tutti gli altri bambini che hanno diritto di vivere una vita piena e senza rinunce. L'intervista di Lorenzo Franzetti
Scegliere. Sempre e comunque, la vita: non è soltanto l’istinto naturale di una mamma, ma quasi sempre è una rotta consapevole, in direzione ostinata e contraria. Domenica mattina, in un bar di Sesto Calende, Federica Muller si concede un po’ di respiro. I suoi occhi chiari rispondono già da soli a tutte le domande, umane e comprensibili, che ognuno inevitabilmente si pone, pensando a lei, ai suoi figli, alla sua famiglia, al suo percorso che sembra impossibile. Quegli occhi ti puntano, non si abbassano per niente al mondo, non arretrano. Ignorano le banalità e gridano più forte della sua voce: «Abbiamo avuto mille giorni, altri ne avremo ancora, in cui si sceglierà tra la vita e la morte. Le nostre giornate sono queste. E non è la stessa cosa che stare davanti a un salumiere per decidere tra prosciutto cotto o crudo: non è da dare per scontato, anche noi l’abbiamo imparato giorno per giorno».
“Noi”: Federica intende lei, il marito Roberto e i figli, Tommaso e Cecilia. Quest’ultima, da tre mesi, è “tornata libera”, spiega, dopo tanti anni prigioniera dentro a un corpo malato. Non c’è più fisicamente, ma negli occhi di questa mamma non c’è nemmeno una nuvola di rassegnazione. Soltanto luce: «E’ sempre stata la mia guida, per tutti i 18 anni che ha passato tra noi. Io ho bisogno di sentirmela ancora addosso, non mi basta non averla più».
Cecilia: una stella volata soltanto un po’ più in alto e basta, sopra tutte le barriere e gli ostacoli che ha affrontato sul suo percorso terreno. Quindici anni fa, una famiglia come tante, in un paesino, Lisanza (nel comune di Sesto Calende), si è improvvisamente trovata dentro la galassia sconosciuta di una malattia rara. La sigla non dà l’idea, Sma- Pme, la descrizione tecnica ancora meno: atrofia muscolare spinale con epilessia mioclonica progressiva. In Italia, due soli casi accertati: prima Cecilia, poi Tommaso, che oggi ha 11 anni. Una diagnosi che, vista da fuori, è una montagna impossibile da scalare. Vissuta da dentro, è una questione di scelte, anche drammatiche, ma obbligate: viverla come una condanna, oppure come un’opportunità per abbattere muri.
Federica Muller ha imparato ad abbatterli, quei muri: uno dopo l’altro, a cominciare da quello dell’indifferenza. Muri che si sbriciolano perché dentro da un corpo minuscolo di donna, c’è la forza di un gigante. «Una malattia inguaribile non significa incurabile. La cura è un diritto, sempre»: tutto comincia da lì, da un’idea ben chiara, che si traduce in una dura battaglia per la vita, per i suoi figli e per gli altri. La guarigione è scienza, la cura è umanità, umanità consapevole, che non deve venir meno mai. Quando il mondo si ferma, davanti alle situazioni più compromesse e complicate, lei va oltre.
«Cecilia nacque sana, si è ammalata che aveva tre anni. Così è stato anche per Tommy. Con Cecilia, abbiamo navigato al buio, giorno dopo giorno: non sapevamo nulla, abbiamo dovuto imparare e sperimentare tutto. Tommy ha il vantaggio di essere il secondo». Da ragazza sportiva, istruttrice di nuoto, Federica si è trasformata in mamma guerriera, non in lotta contro una malattia, ma contro barriere da radere al suolo. «Prendere coscienza, arrivare alla consapevolezza è stato un percorso duro, ma non ho mai voluto finire dentro al pietismo. Un percorso che ho affrontato con Cecilia, la mia scuola di vita. La domanda è sempre stata: cosa si può fare per rendere la sua vita migliore? E ho vissuto le giornate con lei a pensare e concretizzare tutto quello che ci poteva stare dentro».
Andare a scuola, al mare, in vacanza, in bicicletta, o semplicemente a mangiare una pizza, la normalità per qualsiasi bambino in famiglia: per Cecilia erano traguardi apparentemente negati. «Ma li abbiamo raggiunti, perché era giusto non rassegnarsi alla sofferenza per guardare oltre, ovvero alla bambina che era e che è stata. Ora con Tommy facciamo di tutto, ovviamente con gli accorgimenti necessari, ma non ci fermiamo: siamo andati all’Alpe Devero, al Lago delle Streghe, abbiamo fatto il bagno in piscina. Certo, non è per nulla semplice, ma ormai sono abituata a non vedere mai il limite, fermarsi non ha senso. La cosa bella è superare le barriere, che spesso sono soprattutto mentali e burocratiche».
Muri da abbattere, diritti da difendere, a cominciare dalla quotidianità. Come la battaglia vinta per fare ammettere Tommy al centro estivo: «Inizialmente non lo volevano, sebbene lui andasse già a scuola con gli stessi ragazzini. Non era previsto, nessuno sapeva come fare, non era mai stato considerato che un bambino con disabilità potesse avere il diritto di frequentare il centro estivo con i suoi amici. Con fatica, Tommy alla fine ce l’ha fatta, ma ho dovuto mettermi a disposizione delle istituzioni, ho dovuto dimostrare che le soluzioni c’erano e si possono sempre trovare. I primi a capire il senso dell’inclusione sono stati proprio i bambini, i coetanei di Tommy. Le barriere non sono fatte di cattiveria, ma di ignoranza e chiusura mentale: quando non si sa, quando non si conoscono i problemi, spesso si preferisce non affrontarli».
Gli occhi di Federica Muller cancellano la parola “impossibile” da qualsiasi pensiero. Il suo percorso, con gli anni, si è modificato: «Non mi basta più quello che ho fatto e faccio per i miei figli, bisogna andare avanti, costruire un mondo migliore». Ripensando al centro estivo e a Tommy, oggi sono quindici i bambini con disabilità, sostenuti e ammessi nei centri estivi, grazie all’impegno di una vera e propria associazione nata attorno a Federica e alla sua famiglia. “Gli amici di Tommy e Cecilia” sono la squadra di Federica Muller, che ha un impegno preciso. Ovviamente, ambizioso: «Dobbiamo insegnare a vivere la disabilità come normalità». Accessibilità e inclusione sono questioni molto concrete: «A partire dalle piccole cose, quotidiane». Dai parcheggi per disabili, che non vanno pensati come spazi a perdere, ma come un servizio necessario e che deve avere caratteristiche specifiche, fino ai traguardi grandi, come il diritto di vivere le esperienze e le emozioni: diritto come persona, non come disabile. Piccole cose, dal grande valore: «Come le rampe di accesso ai negozi e ai luoghi pubblici che realizziamo con i mattoncini delle costruzioni giocattolo. Un’idea nata in Germania grazie a Rita Ebel, che stiamo portando avanti anche noi, con una grande collaborazione delle persone».
Dai mattoncini alle biciclette, gli occhi di Federica guardano sempre avanti: «Con delle biciclette speciali, in collaborazione con l’azienda Remoove, stiamo costruendo il progetto Veloplus per poter dare ai bambini con disabilità la possibilità di vivere l’emozione dell’andare in bicicletta. Organizzeremo una pedalata, il prossimo 11 giugno, per mostrare questi mezzi particolari, che vogliamo mettere a disposizione gratuita del territorio». Fare rete, spiegare, far conoscere, ma anche tendere la mano: «Sia alle istituzioni che non sanno come aggirare gli ostacoli, sia alle famiglie, in balìa di questi ostacoli. Dietro ai bambini malati ci sono famiglie che non vanno lasciate sole: quando si ammala un bambino, si ammala tutta la famiglia. Ci sono questioni complicate, problemi enormi che diventano la quotidianità di mamme e papà che, spesso, sono soli e disorientati. C’è tanto da fare e da far capire».
Idee, progetti, sempre con quegli occhi che guardano avanti. C’è da tornare da Tommy, mamma Federica continua la sua battaglia quotidiana, ma nel frattempo sta pensando anche a quella rampa di mattoncini fuori dal bar e che va restaurata. Mattoncino su mattoncino, rende il mondo migliore. Ci riesce, ora, con una guida speciale che Federica ha imparato a cercare e trovare oltre i limiti di un corpo: «Cecilia mi ha insegnato a comunicare con lei. Quando non riusciva più a parlare, comunicava con il corpo e io ho imparato da lei. Poi abbiamo usato soltanto gli occhi e quando non si riusciva più a comunicare nemmeno con quelli, abbiamo trovato un altro sistema con la nostra energia. Negli ultimi mesi era tutto meno fisico e più spirituale. Ora non ci può essere un punto e basta». Anche questa volta, di fronte all’ennesimo ostacolo impossibile, Federica ha fatto la sua scelta: sempre e comunque la vita. Provate a guardarla negli occhi.
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