Attaccati all’ultimo grammo da spacciare, i mesi in tenda d’inverno nei boschi tra Vergiate e Sesto

Le intercettazioni shock che hanno fatto scattare il blitz alla vigilia della spedizione punitiva: “Adesso andiamo e gli spariamo: bisogna tagliargli i piedi”. Migliaia di cessioni documentate e centinaia di compratori

Generico 01 May 2023

Pronti a tutto, «disposti a subire privazioni e a vivere in condizioni estreme pur di continuare a spacciare». I carabinieri di Sesto Calende conoscono oramai parecchio sulla vita degli arrestati lo scorso fine settimana, e accusati di aver imbandito la tavola dello spaccio nei boschi fra Vergiate, Sesto Calende e Casale Litta per un foltissimo pubblico di consumatori.

FONDINE SLACCIATE

E così, mentre i “civili“ si preparavano alle griglie del weekend del primo maggio, gli uomini del luogotenente Giovanni Opessio, alla guida della Stazione carabinieri di Sesto Calende (realtà dalle grandi capacità investigative), sono entrati in azione assieme ai colleghi del Radiomobile di Gallarate con decine e decine di militari mobilitati: in una mano il decreto di fermo firmato dalla Procura di Busto Arsizio, l’altra vicina alla fondina della pistola. Perché quelli finiti in carcere nei giorni scorsi non sono semplici «cavallini» dello spaccio, sbandati presi per strada in Centrale a Milano e pagati 50 euro al giorno per vendere “la bianca“, o “la sporca“ a seconda della sostanza offerta, nei boschi del Varesotto. Si tratta invece di soggetti pericolosi, che sparano. Lo testimoniano le foto dell’arma d’assalto sequestrata durante l’azione dai militari: un fucile a pompa calibro 12 capace di piegare anche la più accesa resistenza da parte dei rivali, che andavano ammazzati, a cui «dobbiamo staccare i piedi con le fucilate», così non scappano, si dicevano, ripresi in svariati modi, fra intercettazioni telefoniche, ambientali e fototrappole messe in silenzio e con la pazienza del cacciatore dai carabinieri di Sesto, inquadrati nella compagnia di Gallarate guidata dal capitano Pierpaolo Convertino.

BÉNI MELLAL

La struttura degli spacciatori è fatta da “duri“ che arrivano tutti da una zona specifica del Marocco, l’area interna di Béni Mellal, e che non si piegano a niente. Arriva l’arresto di uno ei capi per “detenzione e spaccio“? Il copione è sempre lo stesso: arresto convalidato dal giudice, applicazione della misura cautelare dell’obbligo di firma, e poi via a spacciare dopo neanche due giorni, tutto documentato, tutto ripreso: Sesto Calende, Vergiate, Castelletto Ticino, Casale Litta. Qualche puntata a Milano. La scoperta di una piazza di smercio nel Comasco. Ma poi insistentemente il ritorno nei boschi del Varesotto a confine fra Lombardia e Piemonte, fra lago e fiume.

“LICENZA PREMIO” IN HOTEL

L’organizzazione era piuttosto ben strutturata e ciascuno dei componenti finiti dietro le sbarre aveva un ruolo preciso: c’era chi riforniva le piazze con materiale per confezionare le dosi con gli immancabili rotoloni di cellophane o coi “sacchetti gelo“ dove mettere la roba, oltre alla spesa con viveri e generi di conforto come gli scaldacollo e i guanti per superare il gelo del “Bosco di Capra”, dove passavano la notte, mentre per chi beneficiava dei giorni di riposo c’era il letto in hotel a Limbiate, o a Milano: li accompagnavano in macchina, come fosse una sorta di licenza premio per il lavoro fatto nei boschi della disperazione. C’era naturalmente spazio per la cura della persona, con l’acquisto di medicinali necessari. Poi, puntualmente, il ritorno sul posto di lavoro: la via Garibaldi a Cuirone, al “ponticello“, alle “arnie delle api”, nei boschi davanti alla Cascina Lavandè: posti immancabilmente sorvegliati dai carabinieri che sono entrati in azione applicando sì misure di custodia cautelare ma anche decreti di fermo, cioè la misura presa dal pubblico ministero – e non dal giudice – nei casi in cui sussistono gravi rischi legati alla commissione di delitti. Centinaia gli assuntori identificati durante le indagini, e migliaia le cessioni di stupefacente documentate (una fotocopia dell’indagine Maghreb avvenuta nel Luinese cinque anni fa circa). Nel blitz sono così state arrestati sospettati con fermo, ordinanza di custodia cautelare e in flagranza di reato, in tutto dieci, anche se si attendono ulteriori sviluppi investigativi e oltre al sequestro di soldi, dell’arma da fuoco con colpi in canna, le cartucce calibro 12 e un lungo coltello da cucina; alla fine la droga recuperata arriva a sfiorare il chilo fra coca, fumo ed eroina.

IL BLITZ

Ma cosa ha fatto scattare il blitz ordinato dalla Procura? Il gruppo fermato qualche giorno fa era stato aggredito con armi il 14 aprile. E stava preparando una risposta. Un attacco a sorpresa sfruttando un tossico che avrebbe attirato all’esterno della piazza di spaccio avversaria (a Cascina Nuova di Vergiate) i pusher per poi sparare. I carabinieri ascoltano e in almeno un’occasione per far desistere il gruppo di fuoco organizzano dei posti di controllo in zona con pattuglie ben visibili, così da scoraggiare l’azione. Altrimenti? Altrimenti questo si dicevano gli indagati, solo qualche giorno fa al telefono: «Bisogna tagliargli i piedi. Bisogna mettere il fucile sui piedi e colpire alla caviglia».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 04 Maggio 2023
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