Carlos Buschini e la musica che unisce tutti i popoli
Una piccola casa ad Angera è il suo nido dove Carlos si rifugia a comporre e a pensare ai suoi concerti. «Il miglior antidoto al razzismo è viaggiare, incontrare»
Quando fa musica, lo vedi lì presente, carismatico, con quei lunghi capelli ormai bianchi, ma in realtà in quei momenti Carlos Buschini è in un suo continuo personale e intimo tango, a tu per tu con le note, come in estasi: è lì fisicamente, ma gli occhi, le sue mani, il suo corpo, il suo pensiero giocano, danzano, duettano con le note, come in un’altra dimensione. Ritmo e libertà, fino ad abbracciare tutto il mondo. «Sì perché la musica è fratellanza, unisce tutti, unisce anche i popoli più diversi».
Carlos sente la musica come un istinto primordiale, ce l’ha dentro e lo capisci quando lo vedi suonare. Vedere, sentire, condividere fanno parte della stessa esperienza: «Io adoro suonare dal vivo, quella è la mia dimensione ideale. Con gli altri, per gli altri». Una piccola casa ad Angera è il suo nido dove Carlos si rifugia a comporre e a pensare ai suoi concerti. Da lì è un continuo partire e tornare, è un continuo viaggiare per il mondo: «Angera è il luogo da cui è partito mio nonno, Antonio Buschini, per andare in Argentina. Io ho fatto il viaggio inverso, da Cordoba ad Angera. Ed è un posto fantastico qui, bellissima Angera, anche i miei colleghi la adorano». I suoi colleghi sono tutti grandi jazzisti di fama internazionale, da Paolo Fresu (per citare il più noto al pubblico italiano) ai giapponesi Aska Kaneko e Yahiro Tomohiro che con Buschini e il pianista argentino Gerardo Di Giusto formano i Gaia Cuatro, il quartetto con cui Carlos sta portando avanti tournée e progetti ambiziosi in questo periodo. Una formazione, questa, nata per caso, dalla voglia di contaminarsi: due argentini e due giapponesi, non è una barzelletta, decidono di suonare insieme per provare a sperimentare come mettere insieme due culture opposte.
Ed è quello che adora Carlos, quello è il senso della sua musica: «Io ho suonato in un’infinità di Paesi, in tutta Europa, in India, in Turchia, in Bosnia, in Canada, negli Stati Uniti, in Giappone, in Cina. Ecco, prendendo spunto della Cina, ho avuto la possibilità di fare musica in luoghi e Paesi dove non mi era consentito di dire e fare tutto, ma con la musica sì, la musica mi ha avvicinato a popoli apparentemente lontani, politicamente e culturalmente diversi. La musica elimina le barriere che noi uomini costruiamo a volte in modo assurdo. E io adoro la musica popolare, quella che ha le radici nella cultura dei popoli, adoro ascoltare, imparare, mettere a confronto quella musica con la mia e creare qualcosa di nuovo: ecco il senso della libertà, nella musica è naturale la libertà». Musica e viaggio, incontri e confronti, contaminazione ed evoluzioni: la visione di Carlos Buschini è davvero profonda e figlia di una civiltà tollerante.
«Il miglior antidoto al razzismo è viaggiare, incontrare. La musica mi ha permesso questo, ma anche perché ho voluto crederci fin da ragazzino». Cresciuto nella dittatura, figlio di contadini, ha iniziato a lavorare giovanissimo, nella zona di Cordoba, con il sogno nel cuore di poter abbattere confini facendo musica: «Ero un ragazzino, quando c’era la dittatura. Fortunatamente ho vissuto gli effetti meno cruenti, ma resto una vittima culturale come moltissimi giovani di quegli anni». Confini da superare, ecco il più potente effetto di una dittatura nella mente libera di un giovane musicista.
A cominciare da quelli artificiali, che costruiamo nella nostra testa: «E io oggi non so che musicista sono. Non sono un jazzista puro, per un fan di Charly Parker io non sono un jazzista perché sono fatto a modo mio, attingo dalla musica popolare, ci aggiungo la mia personalità. Non so mettermi in una categoria ben precisa». E tutto cominciò da una banda locale, una banda militare nella quale Carlos fu ammesso da ragazzino, a suonare le percussioni. Da lì, tanta musica e sogni che a un certo punto hanno attraversato l’Oceano Atlantico: «Era la fine degli anni Ottanta, io allora suonavo sulle navi da crociera. Arrivai a Genova e decisi di sbarcare, destinazione Angera, da dove era partito mio nonno. Mia mamma avrebbe voluto che facessi il medico, io volevo suonare. E venni in Italia per iscrivermi a una scuola di Jazz a Milano, con un maestro importante come Attilio Zanchi».
Era giovane, disincantato, un po’ folle, visionario: oggi Carlos è la stessa persona, con la chioma bianca al posto dei riccioli mori. «Con la musica, con la voglia di suonare, solo suonare, sono riuscito a comprarmi una casetta vicino al lago. Oggi che sono, come dicono, un musicista affermato, è comunque difficilissimo campare di questo mestiere, soprattutto dopo il Covid». Difficile o meno, Carlos Buschini guarda alla vita e le strizza l’occhio alla sua maniera, con un giro di basso che cambia la tonalità dei colori di una giornata: «Tutto è possibile per me. Ognuno è tante cose e io con la mia musica vivo la filosofia del jazz, che è libertà, libertà di espressione». E il futuro è pieno di progetti, al di là della fatica, fare il musicista è una scelta che, se la musica ce l’hai nel sangue, è facile comunque: «Ripenso a dove è iniziato tutto, all’Argentina, a un disco dei Toto comprato con i primi risparmi: s’intitolava “Hold the line”, e fu la prima volta che dei musicisti mi sorpresero.
Come un altro gruppo di quegli anni, gli Alan Parson Project. E mi venne voglia di provarci anche io, anche se faticavo a pagare la quota della scuola di musica». Decine di progetti con grandi musicisti, migliaia di chilometri attorno al mondo. Tra i più esaltanti e preziosi per la sua crescita, la collaborazione con Juan Carlos Caceres, grandissimo artista argentino, fuggito dalla dittatura e stabilitosi a Parigi, un grande nella musica e nell’arte in generale (era anche pittore), storico e intellettuale. Anche grazie all’incontro con Caceres, Carlos ha rafforzato sempre più la sua idea: «La musica è contaminazione, è il frutto di idee che s’incontrano». Quando il tango argentino “incontra” la musica asiatica o africana, insomma, diventa qualcosa di unico, straordinario. E Carlos, lo capisci al volo, ne ha fatto una ragione di vita. Lui, i suoi strumenti, altri musicisti, sette note, una visione positiva del mondo: «Il basso, anche se oggi ci sono anche nuove idee e nuovi approcci, è uno strumento che deve legare con altri strumenti, li mette in relazione, li esalta. Per questo, lo considero la spina dorsale di una band. A ognuno il suo ruolo, il basso è la “terra”, quello che sostiene». In attesa di riprendere il volo, l’estate di Carlos Buschini lo porterà a suonare anche vicino a casa, con i Gaia Cuatro (ad Arona il 7 luglio, a Olgiate Olona l’8) e con il trio di Michele Fazio (il 18 luglio è a Gorla Maggiore). Per i suoi colleghi, Carlos Buschin è “El tero”, un soprannome che si riferisce a un uccellino tipico delle pampas argentine, che ha la caratteristica di dormire su una zampa sola, un po’ come un musicista appoggiato a un contrabbasso magari, un uccellino che è un po’ il guardiano dell’ambiente, simpatico, ma utilissimo. Carlos “El Tero” è in continua relazione con la musica: «Suono e studio, studio e suono. Mentalmente sono sempre nella musica, poi magari fisicamente ci sono dei giorni che non prendo in mano il basso, ma nella testa la ricerca non si ferma mai». Il suo nido è ad Angera, la sua patria il mondo, abbracciato a un contrabbasso. Semplice e geniale, la positività di Carlos conquista più della sincerità di un bambino. Il mondo ha bisogno di gente con la sua visione: «Ognuno deve essere ambizioso e anche io lo sono. Ma troppo spesso si lega il successo al denaro, ma il successo per me non può essere solo una questione economica. È una continua ricerca, è riuscire ad aprirsi agli altri e comunicare in libertà. La musica mi regala questo successo: ho suonato in Paesi e davanti a persone che, a parole, non potevamo dirci nulla. Per esempio, io con le mie idee davanti a un pubblico cinese in un Paese non democratico cosa potremmo dirci, a parole? Con la musica, invece, riesco a comunicare con loro tutto quello che voglio». La libertà, spiegata da Carlos Buschini, è come un tango, insomma, una musica magica capace di unire le anime più diverse in una sola passione. Per la bellezza.
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