“Malnate, Kubrick e una ritrovata serenità”: Marco Male, penna rap del Varesotto
Nuova musica per il rapper di Malnate, al lavoro per un disco dal titolo Chance: "Ho smesso di odiare il mondo. Adesso so dove mettere i piedi"

Una Chance per dimostrare, anche a se stesso, di essere una persona diversa. È questo quello che il rapper Marco Male cerca nel suo ultimo singolo La Cattiveria, e più in generale nella sua nuova musica.
La sua musica è scritta su uno spartito sgualcito e segnato dal tempo, a metà tra un diario degli errori e una tavola degli orizzonti su cui appuntare un magmatico caos di pensieri. Flussi non da “vomitare” secondo la prassi freestyle dell’hip-hop, ma da rielaborare a fuoco lento, con la consapevolezza, e la serenità, di essere cresciuti e di essersi lasciati alle spalle un capitolo della propria vita fatto di alti e bassi.
Il rapper di Malnate lo avevamo lasciato con Ouverture nell’estate del 2020, quella del covid e delle mascherine. Il brano si presentava come un biglietto da visita duro e schietto, una “rinascita”, umana e artistica, dopo una difficile gioventù a corrente alternata (o come canta lui stesso «a mesi alterni senza la corrente»), tra i successi sui palchi della provincia di Varese insieme a una nota crew (oggi legata alla major Universal) e una serie di problemi, anche con la legge. L’attacco di Ouverture diceva già tutto: «Io sono il benvenuto, mica il bentornato», un incipit vita nova dantesco, in salsa rap.
Una vita che «da quel girone infernale», così lui chiama la sua adolescenza, è riuscita a scostarsi e andare avanti. Infatti, fin dalle prime note de La Cattiveria quel rancore, quella «rabbia per il passato difficile» lasciano spazio a una dimensione più intima, distante dalle sue origini artistico-musicali. Radici che non si estirpano, e che rimangono comunque la tematica centrale del pezzo. Mentre il beat rimane costante, la canzone alterna costantemente il tempo, il passato e il presente («ero più che una iena vera»): il ponte di collegamento è proprio La Cattiveria, saperla riconoscere e decidere di rifiutarla, «per tutto quello che ci hanno fatto, io non me la bevo, non me la mangio, no».

«Prima ero più giovane, più arrabbiato – racconta -. Volevo farcela a tutti i costi, mi sentivo come se dovessi dimostrarlo fuori e tutto questo annebbiava il percorso da seguire. Adesso, per questo progetto almeno, non mi interessano più i numeri e i click. Non provo rimorso per aver abbandonato un ambiente, anche di successo, come quello crime, da cui mi sono completamente disintossicato. Voglio poter dare continuità alla mia musica di mese in mese, per poi pubblicare un disco dal titolo Chance. Una parola molto importante per quella che è la mia storia» commenta il rapper, all’anagrafe Marco Cicero.
Sono cambiate tante cose dai “giorni folli” nel g-rap, il gangsta rap. Marco Male adesso ha passato i trent’anni, fa il frontaliere in Svizzera, è andato a vivere da solo, ma sempre a Malnate, città dove i suoi i genitori sono arrivati dalla Sicilia. Da ragazzo alle Case Aler di Malnate ha dormito imbottito in giubbotti a causa del freddo e sempre lì «è stato preso». Oggi a Malnate continua a vivere il tipico rapporto amore/odio, quella dolce-e-amara sensazione che si prova quando si guardano certe cicatrici rimediate durante l’età d’oro della giovinezza, quando la cattiva semenza non sembra destinata a sbocciare. Alla diga di Malnate il videomaker Sejdar Alliu ha girato il videoclip del brano realizzato insieme a Simone Lanza (Waxlife) e curato nel mix e master da Dj Telaviv (stretto collaboratore bustocco di Emis Killa).
«La Cattiveria è “un pezzo” in cui non voglio esprimere o sfogare con violenza la mia cattiveria, ma sensazioni diverse. Penso infatti che la cattiveria esista in diverse forme, anche molto subdole. Per questo nel video ho voluto mettere un riferimento diretto alla Cura Ludovico di Arancia Meccanica, il film di Stanley Kubrick».
Riflesso della cattiveria, la cura diventa una parola (e un’immagine) interpretabile a più livelli di complessità: da quella psicologica descritta su carta e pellicola da Burgess e Kubrick, imposta e inflitta dal sistema al protagonista Alex de Large (a-lex è da leggere come “nome parlante”, il “senza legge”), alla già citata «disintossicazione» tramite la Cura Ludovico: la musica di Beethoven usata come terapia e al tempo stesso come strumento di tortura. Cura che nel brano di Marco Male diventa una citazione diretta. La citazione, come il sample, è un’usanza tipica dell’hip-hop, movimento che fin dalle sue origini mischia discipline artistiche differenti, perché l’arte è di tutti e per tutti… «beh, purché non si rubino intere strofe e canzoni, sia chiaro» scherza.
«Ho sempre voluto omaggiare ciò che mi piace, provare a collegarmi con qualsiasi tipo di arte, cinema compreso, e farlo alla mia maniera – conclude -. L’ho fatto in passato citando Alien e lo farò anche nel futuro prossimo con Tarantino (in La Cattiveria c’è una “reference”a Kill Bill). Ma il disco non vuole basarsi sul cinema, le canzoni non sono tratte né raccontano scene di film. È semplicemente “qualcosa” che sento che mi appartiene, che sento anche mio. L’arte è necessaria per una trasformazione. Io ho smesso di odiare il mondo, ho cominciato ad affrontare le “cose della vita”, ho scelto dove mettere i miei piedi, anziché sbatterli per terra più forte che potevo».
«Walk on», Va’ avanti, continua a camminare canterebbe Neil Young. Chi conosce il disco On the Beach sa bene cosa significhi scrutare all’orizzonte un nebuloso oceano mentre le spalle danno alle macerie.
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