Ode al Cedro
di Mariachiara Ferraro
O Cedro che occupi la finestra del mio risveglio: dal colore delle tue fronde indovino l’ora e la giornata.
Ti immagino ancora seme in terre lontane, e poi, giovane di pochi metri, sradicato e imbarcato con altri compagni alla volta del ricco Occidente, deportato ad abbellire i giardini dei suoi nobili e borghesi… Hai viaggiato a lungo per approdare chissà come di fronte a casa mia. O meglio, io sono approdata di fronte a te, che c’eri già da tempo, non so nemmeno quanto: dovrei chiedere al vicino, che sa tutto di tutti nel raggio di un km – lui che ogni giorno spazza meticolosamente i tuoi capelli aghiformi dal suo vialetto, sul quale ti affacci da prima di lui e della sua scopa, che pure occupano il mio risveglio ogni mattina – tu, enorme, eccessivo, esuberante, quasi fastidioso nella tua abbondanza.
Tu c’eri quando da qui si vedevano i tramonti; e hai guardato impotente quando l’odioso condominio rosso inesorabile li ha coperti, con i suoi quattro piani, la banca, i bar e il parcheggio.
Hai visto le formiche rosa, questa indaffarata razza umana, avvicendarsi ai tuoi piedi sempre più di corsa, sempre più piccole sotto di te, mentre diventavi il gigante che sei. Da quando sono arrivata sei sempre stato lì, alla finestra. Ci hai guardati dormire, piangere, ridere, cambiare posto ai mobili, preparare una culla; hai visto mio figlio crescere con te, con la tua folta chioma di velluto verde scuro, con la tua presenza silenziosa, sontuosa, impassibile.
Finché le formiche rosa si sono scocciate di tanta abbondanza, della tua pioggia di aghi che inondava la strada, i vialetti ordinati, le grondaie, i tombini… e così hanno pagato i ragnetti rosa per arrampicarsi sui tuoi rami e fare del tuo manto di velluto tristi brandelli penzolanti, con troppo cielo dietro. E tu, impassibile e nobile. Sono sicura che allora hai provato qualcosa, vergogna? Rabbia? Io di certo pena. Quando quel giorno sono tornata a casa e ti ho trovato così, ho pianto.
Oggi, due anni dopo, ti sei rifatto una vita, ago dopo ago. Durerà? Finché gli insetti rosa non si riterranno ancora padroni di farti ciò che vogliono, perché tu, muto, non protesti, per ora.
Mio figlio mi chiede a volte, con un velo di timore: “Ma se cadesse, da che parte cadrebbe? Sulla nostra casa?”. Non gli so rispondere.
Ma se in una notte di tempesta cadrai da questa parte, non farci troppo male… So che sarà perché volevi abbracciarci prima di andartene, dopo tanta vita a guardarci soltanto. Chissà se sarà più dolce morire, tra le tue braccia… O Cedro, venuto dal Libano alla mia finestra.
Racconto di Mariachiara Ferraro (marichant@tiscali.it). Finalista XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, (www.ilcavedio.org).
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