Antonio Viani: “A Varese un’altra stagione di galoppo così non possiamo più farla”
Il presidente dell'Unione proprietari galoppo parla dei problemi affrontati durante la stagione estiva, delle prospettive future dell'ippodromo e della necessità di una visione strategica

Quando a giugno gli ispettori del Masaf, il ministero dell’Agricoltura della sovranità alimentare e delle foreste, vennero a controllare lo stato delle piste dell’ippodromo di Varese, c’era anche Antonio Viani. Il presidente dell’Unione proprietari galoppo percorse la pista in erba a piedi quasi per intero, sondando lui stesso i tratti più a rischio del manto erboso, caratterizzati da notevoli dislivelli, soprattutto sulle due curve.
La sua preoccupazione per la salute degli animali e dei fantini era evidente. E nonostante si fosse ormai a ridosso della stagione estiva, per Viani era altrettanto chiaro che sanare quella situazione era la condizione imprescindibile per dare il via alla stagione estiva delle Bettole.
La stagione è stata portata a termine tra ritardi, posticipi e polemiche, nella consapevolezza generale che l’ippodromo andrà comunque riqualificato. La Svicc (Società varesina incremento corse cavalli), la società che attualmente lo gestisce, ha rinnovato l’impianto di illuminazione in chiave sostenibile, ma c’è ancora tanto da fare. La nota positiva è rappresentata dal pubblico di Varese che, nonostante i disservizi, i bagni chimici, la mancanza di un ristorante e i pochi punti scommesse aperti, ha dimostrato con la sua presenza una passione e un attaccamento notevole alle corse di galoppo.
Il 2025 è la linea d’orizzonte, perché quell’anno scadrà la convenzione tra il comune di Varese, proprietario dell’ippodromo, e la Svicc che gestisce l’impianto e fa riferimento alla famiglia Borghi. A breve invece uscirà il nuovo bando che svelerà i “paletti” che l’amministrazione comunale di Varese ha deciso di mettere.
Viani, che cosa ci dice della stagione estiva varesina di galoppo appena conclusa?
«Al Città di Varese ho parlato con il dottor Guido Borghi (presidente della Svicc, ndr). Dopo i convenevoli, ho fatto presente che noi come proprietari, con tutta la passione che abbiamo, un’altra stagione così a Varese non la possiamo più fare. Varese per il galoppo italiano è fondamentale. Molte volte sento dire che sarebbe meglio rimanere con Milano, Roma, Pisa e poi stop. Non è così. Guardando quello che succede all’estero, penso l’esatto contrario: servono Milano, Roma, Varese, Monza, Torino, Brescia e altri ventimila, si fa per dire, ippodromi».
Come valuta la passione dei varesini per il galoppo e l’ippica?
«Non è certo frutto del caso che a Varese ci siano tantissimi proprietari e tantissime scommesse sui cavalli. Il fulcro di questa passione, come dicevo, è l’ippodromo che diventa un punto di raccolta. Se lo togli, si trasforma in un problema».
Facciamo un’ipotesi: se l’ippodromo di Varese sparisse o venisse trasformato nella “Coverciano del ghiaccio”, come ha recentemente auspicato il sindaco Galimberti, quale sarebbe l’effetto immediato?
«Senza Varese, Milano sarebbe subito in grandissima difficoltà. Più in generale sarebbe una gravissima perdita per il galoppo e per tutta l’ippica italiana».
C’è chi sostiene di no, intendendo che Milano è alternativa a Varese.
«Queste due strutture non sono alternative tra loro, così come le due stagioni di corse. Sono invece strettamente legate e devono lavorare insieme e in sinergia. Se fossi nei panni della Varesina, più che avere le corse a Varese d’inverno, anche per il clima che c’è, penserei a una stagione in primavera con una corsa a settimana a Varese e due a Milano. E lo stesso farei con la stagione autunnale. A Milano lascerei l’inverno con la nuova pista in sabbia. Varese deve essere la serie B di Milano. È il luogo ideale per far crescere i cavalli, per quelli che sono agli inizi o devono recuperare la forma, per poi ritornare in un secondo tempo a Milano quando le prestazioni migliorano. È ovvio che un cavallo a reclamare fa più fatica a mantenersi a Milano che non a Varese. E con il cavallo si alimenta la filiera e si crea lavoro, a cominciare da un proprietario e un allenatore in più».
Vista da fuori l’ippica italiana, più che mal gestita, sembra non gestita. Condivide questa opinione?
«Sì. C’è stato un vuoto, dopo la chiusura dell’Unire. Un segno di miglioramento però c’è stato con l’istituzione della consulta nazionale e la nomina di un direttore generale, almeno un referente ce l’abbiamo. Detto questo, alcune cose andavano fatte negli anni 80 e 90 e oggi paghiamo il prezzo per non averle fatte. Penso, per esempio, al destino ormai segnato delle scuderie De Montel, un luogo straordinario per rappresentare e narrare la nostra grande tradizione nell’ippica. Diventeranno una stazione termale».
Perché siamo arrivati a questa situazione?
«Sono mancati gli investimenti mirati nelle strutture, ma soprattutto è mancata una visione complessiva. Credo che tenere aperto un ippodromo solo per un terzo dell’anno sia uno spreco. I soldi che arrivano dal ministero sono la base per le attività dell’ippodromo, ma poi quel budget va alimentato con un progetto che valorizzi l’impianto e il mondo del galoppo anche con altre attività. Occorre alzare il livello della sfida. In questo senso servirebbe una buona formazione per tutti i soggetti che lavorano nella filiera per portare maggiore professionalità. Occorre avere visione, fondamentale per qualsiasi impresa, e coinvolgere tutti i portatori di interesse».
In questo i francesi sono molto più bravi.
«Pensiamo solo a Deauville, quella struttura risale all’ottocento, eppure è ancora il centro di una comunità coesa che vive per il cavallo. I francesi al loro interno litigano in modo furibondo, ma quando hanno preso una decisione, ritrovano subito l’unità di intenti. Si sentono una vera comunità. È questa la vera differenza».
Ritorniamo al suo ruolo specifico di rappresentante dei proprietari. Come sono andate quest’anno le aste dei purosangue da corsa?
«Una persona che vedo spesso a questo appuntamento mi ha detto: “Tu sei un proprietario e dovresti essere contento perché oggi un cavallo lo paghi in media almeno un terzo in meno rispetto a soli due anni fa”. Questo ragionamento non funziona. Io sono un proprietario e penso di essere mediamente intelligente e altrettanto lungimirante. Pertanto, se vedo che una categoria della mia filiera non se la passa bene, è molto probabile che alla fine anche io pagherò gli effetti di quel malessere. Giocare al ribasso è pericoloso: se si abbassa un livello così importante per l’ippica, in breve tempo si abbasserà il livello di tutta la filiera».
Il 2025 è vicino così come la scadenza della convenzione della Svicc con il comune di Varese per la gestione dell’ippodromo. Che cosa dovrebbe mettere al centro il nuovo bando?
«Il cavallo, il suo benessere e tutte le attività connesse. Varese è un bacino importante per l’ippica italiana: ha una grande tradizione e numeri significativi grazie a un pubblico appassionato. Si inserisce inoltre in un contesto reso strategico dalla sua vicinanza con la Svizzera e Milano. Il bando deve tener conto di tutto questo ».
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