Caffè, sostegno e dignità: un giorno nella quotidianità dei senzatetto di Varese
Un paio d'ore al Viandante, un centro diurno per senzatetto, nato dall’iniziativa di Mariarosa Sabella, che offre più di un tetto a chi vive in strada a Varese

Tre bollitori di quelli grossi, da molti litri: uno con il caffè nero, uno con il caffellatte e uno con il tè, tutti rigorosamente già zuccherati per rendere più semplici le operazioni.
Una teglia grande dove stanno i panini preparati per la mattina, con gli ingredienti a disposizione, compatibilmente con le abitudini di ognuno: formaggio, prosciutto, tacchino, della mortadella di Bologna. Un bel po’ di frutta fresca lavata ancora nel lavello e Mariarosa che si interessa delle loro vite, chiede come stanno, si informa delle loro ultime vicende, tira le orecchie quando è il caso.
Così è la vita “di famiglia” all’ora di pranzo a Il Viandante, il centro diurno per senzatetto dove Mariarosa Sabella e altri volontari danno un tetto, ma soprattutto una mano, a chi a Varese vive in strada.
Il problema di un senzatetto, infatti, non è solo dove andare a dormire la notte, ma anche come mangiare, come stare al caldo per qualche ora nei primi freddi, come ripararsi quando si è malati, come sbrigare le incombenze legali o amministrative che molto spesso anche una vita ai margini si porta dietro: perchè dire “senzatetto” definisce solo la mancanza di una casa, non come ci si è arrivati li, e ognuno ha il suo percorso vitale.
Sono stata invitata a “vedere con i miei occhi” cosa succede, e nelle ore in cui sono rimasta, per esempio, ho toccato con mano l’impatto delle separazioni: che non colpiscono solo i figli e le madri, ma anche i padri, quando devono lasciare la casa dove i bambini vivono, e non hanno sufficienti mezzi per provvedere a loro e anche a se stessi. C’è quello che vive in macchina, per pagare gli alimenti al bambino, e quello che è stato colpito da una serie di sfortune, e ora deve curare il suo tumore, mentre lotta per non perdere l’affidamento della figlia.

Per loro, oltre al panino e a un corroborante caffè, in una giornata piovosa come quella in cui sono stata, c’è anche un appuntamento con l’avvocato: troppo spesso in condizioni estreme si fa la scelta sbagliata, rinunciando ai propri diritti volontariamente o facendo al contrario una stupidaggine per far valere le proprie ragioni.
Per questo nel centro c’è una stanza dove gli avvocati di strada (esistono, e fanno un lavoro meritorio per chi non si può permettersi di pagare un avvocato) possono dare consigli e istruire pratiche. E’ la stessa stanza dove, in altri giorni, ricevono i medici di frontiera: perchè chi sta in strada non è immune da malattie, anche croniche, fastidiose e preoccupanti per chi ha una casa, ma spesso drammatiche da curare per chi una casa non ce l’ha.

In un angolo c’è anche un computer collegato a internet, tanto gettonato che Mariarosa o i volontari che sono con lei devono fissare dei limiti di tempo: c’è chi manda email, chi cerca lavoro, chi si informa su qualcosa che gli è stato detto.
Intanto, si chiacchiera e ci si confronta con Mariarosa, “la nostra mamma” come dice qualcuno dei più giovani: su come presentarsi vestiti a un appuntamento di lavoro, su cosa fare per ritirare un documento, su come trovare un nuovo paio di scarpe o una coperta, visto che il freddo comincia ad incombere. «Cosa servirebbe in questo periodo? Sacchi a pelo – risponde Mariarosa alla mia domanda su cosa sarebbe davvero necessario per i suoi ospiti – In molti ci mandano coperte: ma quelle le usano, più che per dormire, per ripararsi dal freddo dell’asfalto, come protezione quando si sdraiano a terra. Cosi si sporcano, le lasciano li, qualcuno le butta via e si ricomincia daccapo. Il sacco a pelo invece si può mettere nello zaino e tenerselo con sè».
Al viandante c’è anche chi chiede il dentifricio, o un sapone per lavarsi: qualche “pezzo” da regalare c’è sempre, e nel centro diurno è possibile farsi la doccia, anche se non tutti i giorni. Ma i volontari si accertano che siano puliti anche i vestiti, e se manca uno dei loro sacchetti che rappresenta tutto il loro bagaglio di vita, ne trovano sempre uno per sostituirlo.
«La principale regola per entrare qui è di essere senzatetto, non avere proprio un tetto sotto cui dormire – spiega Mariarosa Sabella – ci sono più persone di quel che credete che hanno una casa ma vengono con la speranza comunque di bere un caffè gratis o mangiarsi un panino. Le nostre risorse però sono quelle che sono, e le dedichiamo a loro. Un caffè però non lo nego a nessuno, una volta arrivato qui. Ma solo uno, e poi chiedo di rivolgersi a servizi più adatti a lui o lei».
Malgrado questa regola, le persone che ne usufruiscono ogni giorno sono circa una trentina: «Alcuni li vedo da anni, altri invece si vedono da poco al Viandante». Non sono solo uomini, anche se i maschi sono decisamente la maggioranza: alcune donne ci sono, dormono per strada e vengono qui oppure alla mensa della Brunella che rappresenta il centro “ufficiale” per le povertà varesine.
«I veri senzatetto di Varese non sono più di 40 in tutto: alcuni vengono da noi, altri vanno alla Brunella, spesso si spostano da entrambe le parti, a seconda della giornata o delle disponibilità. Possiamo dire di conoscerli tutti o quasi: prima o poi si presentano qui» spiega MariaRosa.
Non scatto a loro fotografie, non è opportuno nè gradito se si vuol conservare loro dignità e possibilità di riscatto: «Guardali: se li vedessi fuori di qui diresti che sono senzatetto?» mi dice a bruciapelo Mariarosa.
In effetti per molti di loro direi proprio di no: gentili, composti, puliti per quanto possibile. Mi colpiscono moltissimo i giovani, civili e dal buon italiano, anche quando non sono nati qui, e un anziano, che se lo vedessi al bar non lo riconoscerei tra gli altri. In quel momento realizzo che una foto potrebbe cambiar loro in peggio la vita, e abbasso l’obiettivo. Ma realizzo anche che un luogo come il Viandante è fondamentale per non perdere la bussola, per non lasciarsi andare, per non farsi ingoiare dal nulla in cui la vita di queste persone si è infilata.
Per alcuni di loro si tratta di una situazione temporanea, per altri la strada è solo la conseguenza di altre situazioni e scelte, come l’alcolismo, le dipendenze, le malattie psichiatriche. Per tutti, c’è un sorriso dei volontari varesini: in questo caso quello che Mariarosa e i suoi forniscono a piene mani dalla sede di via Bainsizza.
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