L’intelligenza artificiale in redazione: il ruolo del giornalista resta centrale
Nel primo panel di Glocal si è entrati nel cuore della questione. Tra etica e innovazione, l’IA può velocizzare e supportare il lavoro redazionale, ma il controllo umano resta imprescindibile per preservare la qualità e la credibilità delle notizie
Luca Mari, professore di Scienza della Misurazione dell’Università LIUC, li ha definiti per tutto il lungo panel che ha aperto il festival di giornalismo, “cosi”. I “cosi” altro non sono che le macchine che usiamo per interrogare l’intelligenza artificiale.
Il rischio, parlando di intelligenza artificiale, è l’antropoformismo, umanizzare qualcosa che di umano non ha nulla e che anzi, dall’uomo impara. La base di partenza di un ragionamento molto complesso, in fondo è tutta qui: l’intelligenza artificiale, nelle redazioni, non può sostituire il lavoro del giornalista, ma può, e deve essere usata, con conoscenza del mezzo e responsabilità.
Un panel quello di oggi, giovedì 7 novembre, che è entrato subito nel cuore della questione: intitolato “Tra bias e allucinazioni, l’intelligenza artificiale può essere uno strumento per il giornalismo?”, ha posto al centro il tema dell’intelligenza artificiale (IA) nel contesto giornalistico. I relatori, Luca Mari, Riccardo Sorrentino, Luca Tremolada, Luca Zorloni e Michela Colamussi, hanno affrontato le sfide e le opportunità che l’IA rappresenta per la professione, discutendo anche l’impatto etico e tecnico di questa tecnologia.
Dopo i saluti istituzionali di Anna Deligios della Camera di Commercio, che ospita il festival, Davide Galimberti, sindaco di Varese, e Attilio Fontana, presidente di Regione Lombardia, il professor Mari ha introdotto l’argomento citando Alan Turing, universalmente riconosciuto come uno dei padri fondatori dell’informatica moderna e dell’IA: «Il lavoro di Turing sull’intelligenza artificiale si fondava sulla convinzione che le funzioni mentali umane potessero essere simulate da una macchina, ed è stato lui a gettare le basi per le Machine Learning. La sua idea di “macchine bambino”, capaci di apprendere dal loro ambiente e sviluppare competenze, ha anticipato gli attuali sistemi di apprendimento dell’Intelligenza artificiale».
Ora che però queste macchine hanno cominciato ad imparare, e lo fanno molto bene, come possono essere usate in redazione? La questione etica è emersa in maniera chiara: non è pensabile delegare la produzione delle notizie all’intelligenza artificiale, il controllo dell’uomo è indispensabile. «Il problema non è legato alla produzione di fake news, come qualcuno paventa – ha spiegato Luca Zorloni di Wired Italia – L’AI non produce in autonomia notizie false, qualcuno deve premere un bottone. La cosa che invece va tenuta sempre ben presente è che nel processo di scrittura il ruolo del giornalista deve essere sempre al centro».
Tremolada, datajournalist e giornalista di scienza de Il Sole24Ore, ha paragonato l’IA a un “producer” e non a un “giornalista secchione”: «Può aiutare a velocizzare il lavoro, ma non ha la sensibilità per la notizia e il contesto. Non scriverà mai come noi perché non ha il senso della notizia».
Zorloni ha condiviso poi l’approccio di Wired che, a partire dal 2023, ha adottato un codice di condotta che limita l’uso dell’IA solo per funzioni di supporto, lasciando la creazione di contenuti e immagini a giornalisti e fotografi.
Anche al Sole 24Ore esiste un codice etico per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, ha spiegato Tremolada: «Il nostro codice di condotta si fonda sul fatto che dietro al nostro lavoro c’è sempre un essere umano. Detto questo, sono convinto che ci vorrebbe una sorta di “bugiardino” all’interno degli articoli, in cui si dica con chiarezza qual è la percentuale di utilizzo dell’intelligenza artificiale. È una questione di rispetto nei confronti del lettore. Poi deciderà il mercato se valgo più io che lavoro da solo o chi usa chatGPT».
Michela Colamussi, Director of Transition to Digital and Innovation, Gruppo Monrif, ha raccontato come il Gruppo Monrif abbia affrontato la “deflagrazione” rappresentata dall’avvento dell’IA, scegliendo di gestire un’integrazione graduale e controllata delle tecnologie di AI. Ha descritto l’adozione di uno strumento di editing basato sull’IA, “AI-light”, che supporta i giornalisti nelle attività ripetitive, come la correzione grammaticale e l’ottimizzazione SEO. «Questo approccio, ha affermato, mira a incrementare la produttività senza sacrificare la qualità. Anche agli editori interesserebbe il bugiardino citato da Tremolada perché anche gli editori hanno l’esigenza di sapere come è stato prodotto un contenuto visto che sono chiamati a risponderne».
Anche Riccardo Sorrentino, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardi, ha sottolineato come sia fondamentale avvertire il lettore quando viene utilizzata l’IA, per evitare di compromettere la credibilità delle notizie: «Bene le regole, bene i codici deontologici – ha aggiunto – ma bisogna fare molta attenzione perché il mondo dell’intelligenza artificiale è in rapida evoluzione. Il rischio è di rallentare l’innovazione tecnologica nelle redazioni oppure imporre regole che diventano obsolete in poco tempo».
In un mondo dove la “verità” si declina in opinioni prevalenti, ha aggiunto Mari, il giornalismo deve diventare sempre più un mediatore di complessità, impegnato nella divulgazione corretta delle informazioni.
Il dibattito si è concluso con un richiamo alla necessità di educare lettori e giornalisti a un uso critico dell’IA. «Come possiamo formare i lettori, anche attraverso la scuola? – ha detto Zorloni- Dobbiamo sviluppare degli ‘anticorpi’ per imparare ad analizzare la realtà. Ogni errore rischia di diventare una bomba: i giornalisti devono evitare imprecisioni per non perdere credibilità. È essenziale riportare chi ci legge al centro del nostro lavoro. Solo così possiamo affrontare un modello di business in cui chatbot e posizionamento nei ranking influenzano sempre più la visibilità delle notizie».
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