La mannaia della prescrizione a Varese sul processo per la maxi evasione di Iva
Sono dieci gli imputati per gli otto capi d’imputazione ancora rimasti in piedi per fatti contestati che risalgono a 10 anni fa. Imposta sul Valore aggiunto evasa per oltre 300 milioni

Acquisti “mostre” per decine di milioni di euro di prodotti inesistenti, che poi venivano venduti. Compravendite dunque fantasma, fatte da aziende senza neppure conti correnti bancari, dipendenti o sedi operative, con il solo scopo di creare un giro d’imposta sul valore aggiunto enorme. Tutto con un obiettivo: frodare lo Stato.
Nel 2016 fece scalpore l’inchiesta della guardia di Finanza che portò all’arresto di 12 persone colpite da misure cautelari e che permise di scoprire un giro a nove zeri di false fatture (oltre 1,2 miliardi di euro e un credito Iva per 334 milioni, allo scopo di commercializzare “pacchetti di risparmio d’imposta”).
Il processo è in corso a Varese e presenta diverse importanti novità. In primo luogo, rimangono vivi nel procedimento otto capi d’imputazione sui 13 iniziali, mentre vengono espunti, per il sopraggiungere della prescrizione, il reato di associazione a delinquere per reati di carattere tributario, tre reati tributari e un episodio di autoriciclaggio.
Nell’udienza di giovedì sono stati ascoltati dal collegio di Varese quattro militari delle Fiamme gialle, che hanno seguito le indagini e spiegato il funzionamento del sistema. Il meccanismo si basava su una società “acquirente” che si serviva di due “venditrici”, una delle quali aveva sede legale in un bar della Valcuvia: niente telefono, né dipendenti, né conti correnti.
Prossima udienza il 20 marzo.
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