“Papa Francesco mi ha aiutato a capire che stare dalla parte dei poveri significa stare dalla parte di tutti”
Don Marco Casale, parroco di Gavirate, riflette su cosa ha lasciato nella sua vita la presenza del pontefice

Ho provato in questi giorni a pormi alcune domande, che sento particolarmente importanti, non solo per me: in che modo Papa Francesco mi ha aiutato nel mio cammino di vita? mi sono lasciato convertire dalla sua testimonianza e dai suoi insegnamenti, come credente, come prete?
Quando papa Francesco fu eletto papa, il 13 marzo del 2013, ero cappellano nel carcere dei Miogni di Varese. Fu per me una gioia immensa vedere come in lui il Vangelo traspariva con semplicità in ogni gesto e in ogni parola, nel suo modo di abbassarsi per farsi vicino a tutti, nella sua vicinanza ai carcerati, ma anche ai malati, ai migranti, agli affamati. Vedevo in lui la volontà di imitare Gesù che porta il perdono al peccatore, la libertà all’oppresso, senza mai cercare il proprio interesse e il proprio tornaconto.
Come cappellano del carcere mi sentivo sostenuto da tante persone che mi incoraggiavano a portare ai detenuti un sostegno spirituale e materiale, che fosse segno della misericordia di Dio per tutti. Ricevevo anche qualche critica da parte di chi pensava che i sacerdoti devono piuttosto dedicarsi alla celebrazione dei sacramenti, alla cura dei giovani, alla visita agli anziani e agli ammalati. Papa Francesco mi ha aiutato a fare sintesi fra tutte queste legittime richieste, a capire che il mio posto doveva essere anzitutto in parrocchia, per cercare di diventare “pastore con l’odore delle pecore”. Mi ha aiutato a capire che stare dalla parte dei poveri significa stare dalla parte di tutti, che stare dalla parte degli ultimi significa non dimenticarsi di nessuno, significa stare dalla parte di quelli di cui più facilmente ci si dimentica e allenarsi a essere attenti a tutti per non lasciare mai indietro nessuno. Come cerco di fare ogni giorno in mezzo a voi.
Vi confesso che mi sono sentito spinto fortemente da papa Francesco a essere vicino ai poveri, nel senso di saper ascoltare i bisogni quotidiani delle persone, a darmi da fare per offrire non solo vicinanza ma anche, fin dove possibile, risposte concrete a chi cerca cibo, casa, lavoro. Mi sono sentito spinto a “sporcarmi le mani”, correndo il rischio a volte di peccare di troppa generosità o addirittura di ingenuità. Forse questo rischio lo corro ancora adesso, ma non vi nascondo che ritengo più spiacevole peccare di troppo egoismo che di troppa generosità.
Credo non sia un caso che il popolo di Dio in questi giorni sia accorso in gran numero per dare l’ultimo saluto a papa Francesco ma da parte di nessuno si sia levato, come in altre occasioni, il grido “santo subito”, perché la santità di Francesco non è consistita nella sua grandezza ma nel modo con cui ha saputo farsi piccolo fra i piccoli, non è consistita nella sua perfezione ma nel modo con cui ha saputo riconoscere i propri limiti con disarmante umiltà. Ci ha insegnato cosa significa non essere preoccupati della propria immagine, non agire per il proprio tornaconto ma per il bene degli altri. Dovremo meditare ancora a lungo questa lezione, per cercare per quanto possibile di metterla in pratica, con gioia, nella nostra vita.
Non si spenga la fiammella della speranza che Papa Francesco ha acceso nei nostri cuori e la sua presenza ci accompagni ancora con il suo paterno, affettuoso, furbo sorriso.
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