Il reggae dell’anima: la Hierbamala ha radici un po’ varesine, un po’ triestine e un cuore multiculturale
Tra reggae, spiritualità e dialetti, la storica band varesina ospite a Materia venerdì 4 luglio, tra radice profonde e nuovi germogli

La semina è uno dei gesti più antichi della storia dell’uomo. Un gesto inevitabilmente diventato metafora (anche biblica) e di conseguenza un’immagine artistico-musicale. Perché, come insegna Nick Cave, anche dei semi, o dalle radici, che possono sembrare i peggiori, a volte a volte possono nascere fiori, simboli per antonomasia dell’arte. (foto copertina a cura di Ezio Riboni)
HIERBAMALA A MATERIA: PRENOTA IL TUO POSTO, INGRESSO GRATUITO
Esistono certe band non seguono le stagioni, per lo meno quando si tratta di pubblicazioni. Si prendono il tempo che serve per maturare, cambiare pelle, suonare e risuonare. E poi, quando si rimettono in cammino, tutto si tiene: le prime prove, i concerti, gli album, le parole e le immagini che continuano a tornare come segni sparsi dentro una mappa.
La Hierbamala è questo. La band varesina nata nel 1997 e che oggi, con più di venticinque anni di musica alle spalle, continua a suonare con l’energia di chi ha qualcosa da seminare. Venerdì 4 luglio, ore 21, sarà a Materia, la casa di VareseNews in via Confalonieri, per un’intervista-concerto che aprirà la stagione musicale di luglio.
Definire la Hierbamala un “gruppo reggae” è un gesto riduttivo. È una comunità musicale che ha saputo reinventarsi, restando fedele a un’intuizione semplice: suonare può essere un modo per stare bene, per stare insieme, per immaginare spazi nuovi dentro le contraddizioni del presente. Il reggae come pratica spirituale, certo, ma anche come geografia multiculturale.
Il primo disco, Ora d’aria a Babylonia, esce nel 2000 e già contiene molte delle immagini che torneranno nel tempo: Babilonia (aka Babele/Babylon) come città della lingua unica e dell’utopia, la musica come semina collettiva, la parola come gesto rituale. Nel 2007 arriva Magia, dal pubblico e accolto con attenzione dalla critica. La band cresce, si allarga, attraversa festival e centri sociali, teatri e centri culturali.
Negli anni cambiano i volti, non il respiro. In formazione passano almeno una ventina di musicisti. Il suono si muove tra reggae, dub, ska, accenti balcanici, soul, incursioni psichedeliche pregresse. I testi si scrivono in italiano, in dialetto triestino, con qualche titolo in latino che affiora come una formula arcaica. Le canzoni parlano sempre di Babilonia e di magia, della terra e dell’animo, della non violenza e della spiritualità. I temi comuni ritornano più volte nella discografia, ma in modo sempre diverso.
Nel 2012 esce Hic Sunt Leones, che segna una tappa profonda nel percorso del gruppo. Il titolo è una citazione antica, usata sulle carte geografiche antiche per indicare territori sconosciuti, in Africa e, soprattutto, – il motto riportato sulle magliette dei lavoratori saliti sul carroponte per mesi per evitare la chiusura della INNSE di Milano nell’agosto del 2009, per la Hierba ispirazione per il titolo dell’album.
L’ultimo lavoro, Omnia Sunt Communia – Moto Eretico, è invece uscito nel 2024 per Sonitus Records. Anche in questo caso la locuzione latina porta con sé un significato preciso in quanto era l’espressione dei ribelli anabattisti tedeschi e olandesi le guerre di religione tra protestanti e cattolici (un riferimento al romanzo storico “Q” del collettivo Luther Blisset, oggi Wu Ming). Il disco si ricollega al precedente, senza ripeterlo e invece rilancia una visione politica ed esistenziale. Il singolo Eva riporta al centro una figura archetipica, ma non cristallizzata nella figura dell’antico archetipico femminile.
Le “Hierbe” convivono l’energia della danza e la cura del dettaglio. Al centro della serata ci sarà Carlo Sandrin, cuore e ispiratore della band, che da tempo ha scelto un altro nome: Premdhyan. In sanscrito significa “meditazione d’amore”. È un nome scelto per attraversamento, per adesione a un percorso personale che si intreccia alla musica e a tutto il resto. Sandrin è nato a Trieste, la città italiana forse più ricca e sfaccettata dal punto di vista culturale e linguistico. Da lì ha portato uno sguardo che tiene insieme differenze, stratificazioni, passaggi. A Varese ha trovato terreno fertile per costruire un gruppo e un linguaggio. La scelta del dialetto triestino, insieme a quello varesotto sono una forma di vicinanza, per parlare come si parla davvero. Usare parole che vengono dalla terra.
Chi ha ascoltato Hierbamala lo sa: c’è sempre qualcosa che resta. Un’energia che non si dissolve, una leggerezza, «joie da vivre» – come scrivono sul loro sito – che non è mai superficiale, piuttosto solare, e al tempo stesso impegnata.
A Materia, venerdì 4 luglio, sarà possibile attraversare questa storia anche con le parole. Il primo appuntamento musicale del mese nello spazio libero di VareseNews prende così la forma di un incontro vero, dove la musica innanzitutto è un mezzo per instaurare un dialogo. La Hierbamala continua a muoversi così, senza fretta e senza fermarsi. Come una pianta che cresce al ritmo del sole, e conosce bene le radici.
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