Voci dal mondo: storie di volontariato e accoglienza nel paese di San Macario
Nella Giornata internazionale del rifugiato un racconto a più voci dalla frazione di Samarate, dove è attivo un modello di integrazione diffuso, che accompagna i rifugiati verso un lavoro e una nuova vita

C’è una casa, nel cuore di San Macario, che un tempo ospitava una delle famiglie più in vista del paese.
Oggi, quello stesso edificio accoglie i più vulnerabili: giovani uomini in cerca di un presente e un futuro migliore per sé e per le loro famiglie, provenienti da tutta l’Africa, dal Pakistan e dal Bangladesh.
È qui che prende vita un’esperienza di comunità concreta e quotidiana, fatta di ascolto, insegnamento, pazienza e trasformazioni reciproche.
Il Centro di Accoglienza Straordinaria di San Macario è un luogo di incontro dove, tra difficoltà e speranze, si costruiscono relazioni che cambiano le vite di chi arriva – e anche di chi accoglie.
In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, vorrei raccontare le storie di chi ha scelto di esserci ogni giorno: volontari e volontarie che hanno deciso di entrare in relazione con i ragazzi accolti, e ospiti che hanno saputo trasformare la fatica dell’attesa in percorsi di crescita e inclusione.
Tra loro c’è Jihadul, arrivato due anni fa in Italia.
«Quando sono arrivato ero pieno di incertezze» racconta. Oggi mi sento più forte, più indipendente. Ho imparato a gestire tante cose da solo, e ho cominciato a credere in me stesso».
Uno dei passaggi cruciali per lui, come per molti, è stato l’apprendimento della lingua italiana. «Senza lingua non puoi fare nulla: non puoi lavorare, parlare con le persone, integrarti. I volontari ci hanno insegnato con pazienza, senza giudicarci. È grazie a loro se oggi posso capire, parlare, leggere».
Anche Nelson, in Italia da quasi due anni, ha scelto di raccontarsi: «La mia vita è chiaramente stabile. Ora ho un lavoro e, dopo il mio soggiorno nel centro di accoglienza, sono in grado di prendermi cura di me stesso. La mia salute è buona e vivo in pace, senza paura di essere arrestato o gettato in prigione. La comunicazione è la base di tutto. Per capirci, dobbiamo imparare a parlare la stessa lingua. I programmi e i corsi che ci sono stati offerti ci hanno aiutato a integrarci. I volontari sono stati importantissimi: ci hanno insegnato, motivato, coinvolto in incontri, cerimonie, gite. Ci hanno fatto sentire parte di una comunità».

«Grazie alle attività organizzate dai volontari – prosegue – le persone hanno potuto conoscere le nostre storie, accoglierci, condividere i nostri dolori. Per me la chiave è il buon comportamento e il rispetto delle leggi. Il mio sogno è un permesso di soggiorno stabile, un appartamento, un lavoro, e – se possibile – riunire la mia famiglia affinché i miei figli possano avere accesso all’istruzione. Ai nuovi arrivati dico: rispettate le regole, imparate la lingua, siate coraggiosi e vogliosi di lavorare. L’Italia offre molte opportunità».
Una delle persone che ha reso possibili questi percorsi è Roberta, da dieci anni volontaria del centro: «Offro un piccolo percorso di alfabetizzazione a chi lo desidera. Anche se spesso gli impegni di lavoro e il continuo ricambio rendono difficile la continuità, è commovente vedere con quale impegno si sforzano di riprodurre quegli strani segni dell’alfabeto e pronunciare i suoni della nostra lingua. A volte ci ridiamo insieme, per alleggerire il peso delle loro storie».

Il lavoro di Roberta non è solo didattico. È relazionale, profondo, umano.
«Questi ragazzi mi hanno dato moltissimo. Il loro affetto e la loro spontaneità sono unici. Alcuni sono rimasti nella mia vita, ci sentiamo ancora. Preferisco ricordare quei momenti in cui sedevano a tavola con la mia famiglia. Quei pasti condivisi sono stati atti veri di integrazione».
È proprio per sostenere Roberta che si è avvicinato anche Mario, volontario attivo nel progetto di alfabetizzazione: «Non sono un professore, non ho competenze specifiche, ma sentivo che potevo dare una mano. E così mi sono buttato. Ed è un’esperienza che mi dà una grande soddisfazione. Serve solo un po’ di buona volontà.»
Deborah, coordinatrice del centro e cittadina samaratese, sottolinea il valore della collaborazione: «Fare rete è fondamentale. Ringrazio profondamente il gruppo dei volontari per tutto il supporto che ci danno. Noi operatori siamo spesso oberati da tantissimi impegni pratici e amministrativi. L’attività dei volontari rappresenta un aiuto prezioso, umano e concreto. Anch’io ritengo che l’insegnamento della lingua e della cultura italiana debba essere al centro del progetto di accoglienza. È la base per qualsiasi reale percorso di autonomia e integrazione».

Guido ed Emilio, volontari impegnati sul fronte del lavoro, raccontano: «Abbiamo costruito collegamenti con aziende del territorio. Alcuni ragazzi hanno trovato lavoro presso officine meccaniche, cooperative sociali (settori manutenzione del verde e pulizie), ristoranti, aeroporto di Malpensa e settori dell’edilizia, ma il traguardo più importante è stato vederli prendere fiducia in sé stessi.»
Emilio aggiunge: «Quella casa, un tempo simbolo del privilegio, oggi accoglie gli ultimi. È la casa dei primi diventata rifugio degli ultimi. Entrarci è stato anche un gesto simbolico, un modo per restituire dignità a un luogo e a chi lo abita».
Anche Michele ha trovato il suo modo originale di contribuire: «Abbiamo giocato a palla, camminato, pattinato. Insegno i verbi legati al movimento. È un modo leggero ma efficace per imparare. Un ragazzo che all’inizio parlava poco ha iniziato a sorridere, a ridere. Non sono stranieri: sono amici».
A chiudere il mosaico delle testimonianze è Tino: «Lavorando al CAS ho conosciuto ragazzi molto diversi: alcuni forti e avventurosi, altri più fragili, con il rischio di cadere nella depressione. Ma in tutti ho trovato un tratto comune: il desiderio di lavorare, di essere felici, di costruire qualcosa».
Tino ha visto tanti giovani sottovalutare inizialmente l’importanza della lingua italiana, ma poi cambiare rotta.
«Con il tempo capiscono. Acquisiscono un metodo di studio, si impegnano. Sono riconoscenti, davvero. Un giorno un ragazzo mi ha detto: “Oggi è una giornata felice. Ho visto il mio maestro”. È stato emozionante.»
Secondo lui, è fondamentale legare l’apprendimento della lingua a percorsi professionalizzanti: «Nei CAS dovrebbe essere obbligatorio imparare l’italiano e raggiungere obiettivi formativi chiari. E la lingua dovrebbe essere collegata a percorsi per imparare un mestiere».
Il volontariato ha avuto anche un impatto personale: «Questa esperienza mi ha fatto bene. Ho ritrovato contatto con il territorio, con un gruppo di volontari di buona volontà e con il parroco».
Don Antonio, punto di riferimento spirituale per molti, ha voluto condividere un ricordo personale: «La chiamata e l’invito dell’Arcivescovo di Milano, 40 anni fa, ad aprire una casa di accoglienza per stranieri mi ha reso sensibile a questo nuovo fenomeno della mobilità umana. Quando sono arrivato a Samarate, ho conosciuto il centro di accoglienza di Via Ferrini e ho cominciato a interessarmi più da vicino. La fortuna di incontrare alcuni operatori motivati mi ha aiutato a conoscere anche alcuni stranieri e le loro avventure di emigrazione. Con altre persone di buona volontà abbiamo deciso di organizzarci e formare un gruppo attivo di volontari, mettendo a disposizione le nostre competenze e un po’ del nostro tempo. Ringraziamo tutti, e ringraziamo il Signore!».

Come ci ricorda Cinzia Castiglioni, assessore ai Servizi Sociali del Comune di Samarate: «Oggi, 20 giugno, celebriamo la Giornata Mondiale del Rifugiato. È un giorno che ci chiede di guardare il mondo con occhi diversi, da chi ha perso tutto e continua a camminare. Se la Terra è la nostra unica casa, allora ogni essere umano deve potersi sentire parte di essa.»
Prosegue l’assessora: «Ho trovato molto significative, alcune parole di Mimmo Lucano, sindaco di Riace: “Non sono vere tutte quelle storie di invasione, di emergenza. L’emergenza c’è ma è dentro di noi, perché non abbiamo più la capacità di sentire. Stiamo perdendo la sensibilità umana. Quando il cuore diventa arido, quella è la vera emergenza. Quando le persone ci danno fastidio, quando prevale quella che chiamo
‘la sindrome da fastidio degli esseri umani’, è la fine della società».
«Mi ha colpito molto, durante il tour 2024 dell’artista Ghali, l’introduzione che ha scelto di leggere prima del brano Casa Mia, tratta da un testo dell’astronomo, Carl Sagan: “Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande e avvolgente buio cosmico. Questo puntino pallido ci ricorda la responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di proteggere l’unica casa che abbiamo mai conosciuto. Perché casa non è solo proprietà: è luogo di vita, di cura, di accoglienza. E se la Terra è l’unica casa che abbiamo, ogni essere umano deve potersi sentire parte di essa”».
«Come amministrazione comunale – aggiunge – continuiamo a lavorare per una città che non abbia paura della diversità, ma la riconosca come fonte di umanità e ricchezza. Perché una casa vera non chiude le porte: le apre».
Sul territorio samaratese, accanto al lavoro svolto presso il CAS di San Macario, è attivo anche il progetto SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione), di cui il Comune di Samarate è ente partner insieme al Comune capofila di Malnate. Attraverso il progetto SAI, gestito dalla Cooperativa Intrecci, a Samarate sono disponibili tre appartamenti che possono accogliere due nuclei familiari e quattro uomini singoli, per periodi di almeno sei mesi. Un’equipe dedicata accompagna i beneficiari verso l’autonomia attraverso percorsi di alfabetizzazione e corsi di formazione professionale, tirocini formativi, orientamento legale e scolastico, accompagnamento alla ricerca di un lavoro e di un alloggio, promozione di azioni di sensibilizzazione rivolte al territorio.
Conclude l’assessora: «L’obiettivo è quello di costruire percorsi di vera inclusione e autonomia, mettendo in rete risorse, servizi e opportunità. In questa stessa prospettiva, un gruppo di cittadini, volontari e referenti dei servizi, con il sostegno dell’Assessorato ai Servizi Sociali, sta progettando per settembre un evento culturale e di aggregazione aperto alla cittadinanza, per far conoscere le esperienze di accoglienza in atto e coinvolgere direttamente i ragazzi accolti nei progetti CAS e SAI».
Una semplice riflessione: ho voluto scrivere questo reportage per far conoscere l’esistenza del centro di accoglienza di San Macario, la rete SAI e le attività che vi si svolgono, spesso in silenzio ma con un impatto reale e profondo.
Il mio intento è stato quello di valorizzare il contributo dei volontari, dare voce alle loro esperienze, far emergere le relazioni umane che si creano. Spero che questo possa ispirare altre persone che desiderano mettersi in gioco, che sentono il bisogno di fare qualcosa per il proprio paese e che sono alla ricerca di. un’esperienza ricca di significato.
Ringrazio di cuore tutti i volontari coinvolti, per la disponibilità e l’impegno dimostrato. E ringrazio anche i ragazzi accolti: mi hanno insegnato tanto.
di Edoardo Macchi – ex operatore del centro di accoglienza di San Macario
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