L’ospedale di Varese guarda al futuro per il trapianto di rene: farmaci innovativi, diagnosi precoci e AI
Il direttore della Nefrologia della Sette Laghi Andrea Ambrosini racconta le novità emerse nel congresso ospitato a Varese. L'Unità varesina al centro dei possibili cambiamenti legati al progresso scientifico e tecnologico

È stato un successo oltre le aspettative il congresso nazionale organizzato a Varese dal dottor Andrea Ambrosini, direttore dell’UOC di Nefrologia, Dialisi e Trapianto dell’ASST Sette Laghi. Una giornata di studio, partecipata da oltre cento professionisti e animata da relatori provenienti dai principali centri trapianto italiani.
L’incontro ha posto l’accento su tre novità di rilevanza strategica nella gestione del trapianto renale: il farmaco Imlifidase, l’analisi del DNA libero circolante e l’impiego dell’intelligenza artificiale per la valutazione della qualità degli organi.
Imlifidase: una terapia rivoluzionaria per pazienti “non trapiantabili”
Tra le innovazioni più promettenti, si è parlato dell’introduzione di Imlifidase, un farmaco che consente il trapianto di pazienti che fino a oggi risultavano “non trapiantabili” per cause immunologiche. Si tratta di soggetti fortemente sensibilizzati, che presentano anticorpi contro quasi la totalità degli organi donabili (fino al 99% dei casi), a causa di pregresse gravidanze, trasfusioni o precedenti trapianti.
«Il farmaco agisce in modo rapido, eliminando nel giro di poche ore questi anticorpi – spiega il dottor Ambrosini – rendendo possibile l’impianto dell’organo pur con l’adozione di terapie immunosoppressive più robuste». Finora, in Italia, sono stati eseguiti otto trapianti somministrando l’ Imlifidase (sei a Padova, due a Parma) in pazienti in lista da oltre 8 anni. La platea di soggetti interessati al farmaco è residuale, parliamo di circa 50 in tutto il paese. Alcuni, però, sono in cura anche a Varese e seguire l’evoluzione di questa terapia è d’interesse medico scientifico.
«È una terapia abbastanza costosa, ma rappresenta una svolta per la piccola percentuale di pazienti (0,5%) che, senza questo approccio, non avrebbero alcuna chance di ricevere un organo – aggiunge lo specialista – L’esperienza italiana è ancora limitata, ma guardiamo con attenzione ai risultati molto incoraggianti a cinque anni di follow-up, recentemente presentati al congresso europeo ESOT che si è svolto a Londra e a cui ho preso parte».
L’utilizzo del farmaco presuppone una proceduta autorizzata dal Centro nazionale trapianti specifica, proprio per il carattere particolare dell’approccio terapeutico.
DNA libero circolante: diagnosi precoce di rigetto senza biopsia
Un secondo tema di rilievo ha riguardato l’adozione del cell free DNA, o DNA libero circolante, come strumento diagnostico non invasivo per il rigetto. «Si tratta di un test del sangue che rileva la presenza di DNA del donatore nel sangue del ricevente:» chiarisce il direttore dell’unità operativa. Quel superamento dell’1% è un segno di danno dell’organo, quando si rompono le cellule che liberano il proprio DNA.
Questa metodica, oggi disponibile solo tramite invio del campione a laboratori americani, si sta diffondendo nei centri trapianto più all’avanguardia e permette un monitoraggio precoce e ripetibile facilmente, sostituendosi alla biopsia renale, e evidenziando precocemente i danni altrimenti individuabili con gli esami di laboratorio. Quindi è un test non invasivo, facile da ripetere, affidabile e indicativo di rigetto.
«È una tecnologia in crescita – sottolinea Ambrosini – e il nostro centro di nefrologia è stato invitato a partecipare a uno studio multicentrico nazionale. Contiamo, una volta ottenute le necessarie approvazioni etiche e amministrative, di avviare i primi prelievi entro la fine dell’anno».
Una volta ottenuti tutti i pareri e le autorizzazioni, si potrà partire con questa indagine anche al Circolo: «Se analizziamo le ricadute, sicuramente sono tutte cose vantaggiose per il paziente, perchè è una manovra non invasiva, ma vantaggiose anche per l’ospedale che non occupa il posto letto e sostiene costi sicuramente inferiori rispetto a una biopsia. L’idea è che di riuscire a partire con queste indagini entro la fine dell’anno».
Intelligenza artificiale per valutare la qualità dell’organo
La terza frontiera è rappresentata dall’impiego dell’intelligenza artificiale nell’ambito della trapiantologia. «L’IA può analizzare una mole enorme di dati clinici, genetici e molecolari e restituire modelli predittivi sulla qualità dell’organo, il rischio legato al donatore e la compatibilità con il ricevente» spiega il nefrologo Ambrosini.
«Esistono già oggi sistemi di scoring basati su parametri semplici – prosegue – ma gli sviluppi più promettenti riguardano l’integrazione di dati di trascrittomica e genomica. Non si tratta di sostituire l’esperienza del medico, ma di affiancarla con strumenti capaci di migliorare la precisione delle decisioni cliniche».
Nonostante i costi iniziali elevati per alcune applicazioni complesse, l’IA può essere adottata anche con strumenti più accessibili, garantendo un impatto concreto già nel breve termine. «È un campo in forte espansione – conclude Ambrosini – e anche il nostro centro è pronto a coglierne le opportunità».
Un documento per rilanciare il trapianto: il report della Società Italiana di Nefrologia
A coronamento dell’impegno scientifico della nefrologia varesina, il dottor Andrea Ambrosini è attualmente impegnato nella stesura di un documento strategico su incarico della Società Italiana di Nefrologia, destinato al Ministero della Salute. Il testo, di cui è coordinatore, analizza le criticità del sistema trapiantologico nazionale e propone soluzioni concrete per il suo rilancio, in particolare nel Sud Italia e per il trapianto da donatore vivente.
«La mortalità tra i pazienti in dialisi è altissima: oltre il 40% a un anno – ricorda Ambrosini – il 2% di quelli in lista d’attesa mentre si parla del 98-99% di sopravvivenza nei trapiantati. Senza parlare poi delle differenze di qualità della vita tra dializzato e trapiantati. Investire sul trapianto significa migliorare la salute pubblica e ridurre i costi: cinque anni di dialisi equivalgono a 250.000 euro».
Il documento sarà presentato ufficialmente al congresso nazionale della Società Italiana di Nefrologia in ottobre e successivamente sottoposto al Ministero. «È la prima volta che la SIN prende una posizione così forte e strutturata: ci auguriamo che possa tradursi in un vero cambiamento di rotta» conclude il direttore Ambrosini.
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