Michele Mozzati: “Stromboli mi rigenera, il vulcano resetta corpo e mente”
L’autore di “Acqua fuoco trottola” (Baldini + Castoldi),creatore insieme a Gino Vignali della Smemoranda e di Zelig, presenta a Materia Spazio Libero il suo nuovo romanzo: un viaggio tra isole, amicizia e memoria

Martedì 2 settembre allo Spazio Libero di Materia a Castronno, Michele Mozzati presenterà il suo nuovo romanzo “Acqua fuoco trottola”, edito da Baldini + Castoldi. Scrittore, autore teatrale e televisivo, nonché anima insieme a Gino Vignali della Smemoranda e di Zelig, Mozzati ha ambientato la sua ultima opera a Stromboli, l’isola dell’arcipelago delle Eolie dove trascorre da molti anni le estati. Nei mesi freddi, invece, si rifugia sulle Prealpi varesine, a Orino, dove ha preso casa.
Mozzati, in questo momento è più orinese o strombolano?
«Adesso sono a Milano davanti al mio computer perché sono dovuto rientrare. Poi farò qualche salto a Orino, ma la stagione sta finendo. Quando si parla degli abitanti di Stromboli, si dovrebbe dire “stromboliano”, ma gli stessi abitanti dell’isola si definiscono “strombolani” e io faccio lo stesso».
Mi spiega perché una piccola isola vulcanica è diventata un soggetto letterario?
«Perché prima di tutto è un’isola, e già questo significa isolamento, rigenerazione. Ti sottrae al rumore di fondo della vita e ti costringe a meditare su te stesso e su ciò che ti circonda. Stromboli, in particolare, è una montagna che spunta dal mare per mille metri, ma sotto ce ne sono altri duemila di fuoco. Vivere lì significa stare sopra un vulcano sempre attivo. E questo si sente fisicamente».
È un ambiente che richiede un certo adattamento?
«Le prime ore o i primi giorni sull’isola sono faticosi: dormi poco, sei nervoso. Poi, piano piano, corpo e mente si “sintonizzano” col vulcano. E ciò che sembrava un limite diventa un vantaggio: un isolamento fertile, condiviso spesso con amici. È quello che Stromboli crea in chi la vive: un rifugio quando la città diventa insopportabile».
Possiamo definirlo una sorta di genius loci?
«Esatto. Stromboli ti riporta a una dimensione umana e intima, anche in compagnia. Le isole creano comunità: ci si ritrova ogni anno, con gli stessi amici, negli stessi luoghi. Si diventa “isolani per scelta”».
Aldo Nove dice che la scrittura è una forma di autovampirizzazione. Scrivere un romanzo è anche un modo di ritrovare se stessi?
«Sì, in parte è proprio questo: ricomporsi, rigenerarsi, riscoprire valori che si credevano perduti. Magari viverli in una nuova fase della vita, con un altro passo, ma senza smarrirli. All’inizio, anche dentro la finzione, c’è la vita di chi scrive. Nei miei personaggi c’è tanta invenzione, ma nell’io narrante c’è molto di me. Non si scrive “per se stessi”: si scrive per essere letti, per trasmettere. Bisogna avere il coraggio di dirlo».
Abbiamo accennato alla Smemoranda, che cosa le rimane di quella splendida stagione?
«La Smemoranda è stata una delle cose che mi hanno dato più fortuna. Avere un motivo per alzarsi la mattina, lavorare col sorriso: è impagabile. È stata una punta luminosa della mia vita, ma sotto c’era tanto altro lavoro, condivisione, audacia e sì, anche fortuna».
Un po’ come Stromboli: una cima che svetta, ma con molto fuoco sotto. Mi ha spiegato perché si scrive. Ora mi spiega perché si legge?
«Io quando scrivo leggo poco, ma nei momenti “vuoti” della vita leggo tanto. E leggo per farmi restare dentro qualcosa. Libri come “Eureka Street”, “Stoner”. Autori come Hemingway, Pavese, Cassola, Vittorini e Bassani. E poi la riscoperta tardiva di John Fante. Sono pagine che ti cambiano, che riaccendono la cenere interiore».
C’è un luogo di quell’isola che ritiene speciale?
«È un piccolo cimitero, meraviglioso, affacciato sul mare, fuori Stromboli, verso la Sciara del fuoco, dove venivano seppellite le persone morte di colera. È un posto abbandonato e struggente che non frequenta nessuno. Nel romanzo gli ho dedicato alcune pagine. Ora un abitante ha realizzato un progetto di restauro delle tombe: un gesto bellissimo che restituisce dignità e memoria. Stromboli è anche questo: un’isola viva che non smette di rigenerare storie».
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