Quando Casanova profetizzò i populismi: Raimondo Fassa racconta il suo ultimo libro e quanto spiega la politica di oggi
Molto più di un seduttore, Casanova parla anche all'oggi dei pericoli della politica, nel nuovo libro di Raimondo Fassa che verrà presentato a settembre a Materia

Un Giacomo Casanova che scrive a Robespierre per criticare la Rivoluzione Francese: potrebbe sembrare un esercizio di pura fantasia letteraria “Lettere a Robespierre” il nuovo libro di Raimondo Fassa – filosofo, uomo di cultura e già sindaco di Varese che verrà presentato il 4 settembre prossimo a Materia, nell’ambito dell’inaugurazione della biblioteca allestita al suo interno.
Il libro «È come una docu-fiction, un romanzo epistolare alla maniera settecentesca – Spiega lo stesso Fassa – La premessa è che Giacomo Casanova, negli ultimi anni della sua vita trascorsi in Boemia come bibliotecario del conte Valdstein, avrebbe interrotto la stesura delle sue memorie nel 1793 per scrivere una lettera a Robespierre lunga 120 pagine, che è andata perduta. Io ho provato a ricostruirla, trasformandola in 12 lettere che contengono una profonda riflessione sulla Rivoluzione francese di cui Casanova, storicamente, fu uno dei primi grandi critici».
Il suo “Casanova Apocrifo”, di cui sapremo ben presto molto di più, ha così permesso di diventare invece il punto di partenza per una riflessione acuta sui mali della politica contemporanea: un viaggio che dalle rovine dell’aristocratico settecento veneziano arriva dritto al trumpismo e ai populismi europei.
«Casanova assistette al declino di un mondo che gli era caro – spiega Fassa – La Rivoluzione, ai suoi occhi, non portò miglioramenti, ma violenza. E anche la distruzione di quel mondo aristocratico e alto borghese fatto di garbo, intelligenza, finezza e magnificenza che lui ben conosceva».
L’avventuriero veneziano, troppo spesso ridotto alla figura del seduttore, fu in realtà un intellettuale lucido che comprese per primo le conseguenze di quella che oggi chiameremmo la “politicizzazione delle masse”. «Il caso di Venezia è emblematico. Nel Settecento la Serenissima, dopo aver perso l’impero marittimo, si era trasformata in una sorta di “Las Vegas europea”: carnevale lunghissimo, teatri, case da gioco autorizzate, migliaia di prostitute controllate dallo Stato. La bautta – maschera bianca e mantello nero – garantiva l’anonimato che attirava nobili e cardinali da tutta Europa. La Rivoluzione prima, Napoleone poi, spazzarono via questo mondo raffinato sostituendolo con quello che Casanova percepiva come una “nuova realtà di democrazia, ideologia e masse, un mondo imbarbarito”».
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Quando populismi e dittature sono una richiesta del popolo
La critica di Casanova trova un parallelo illustre in Edmund Burke, il politico inglese che criticò fermamente alla Rivoluzione Francese, teorizzando che i cambiamenti politici dovessero essere graduali e non violenti. «Burke elaborò anche il principio – poi adottato in tutte le costituzioni moderne – secondo cui ogni parlamentare rappresenta la nazione senza vincolo di mandato, in opposizione all’idea giacobina che il politico debba continuamente consultare il popolo». osserva Fassa – fu un fenomeno di coinvolgimento delle masse nella politica, sebbene in maniera passiva, con adunate oceaniche e un rapporto diretto, quasi fideistico, tra leader e popolo. L’idea dell’Italia come “nazione proletaria” contro le nazioni capitalistiche risuonava con ampi strati della popolazione, anticipando dinamiche che riconosciamo nella politica odierna».
Il salto all’attualità rivela parallelismi inquietanti: «Il trumpismo negli Stati Uniti rappresenta una moderna forma di coinvolgimento delle masse, con Trump votato in larga parte dai ceti meno abbienti in contrapposizione alle élite democratiche. In Italia, il voto per Fratelli d’Italia riflette un fenomeno analogo, alimentato da
un “senso di esclusione” che ampie fette delle masse percepiscono nei confronti della “cultura progressista”».
«Quest’ultima – spiega Fassa – pur occupandosi di problematiche sacrosante come i diritti umani o la parità di genere, non viene sentita come prioritaria da chi deve arrivare alla fine del mese o è disilluso per il futuro dei propri figli».
Questo divorzio tra le masse e chi dovrebbe rappresentarle è una delle cause del riemergere di vecchie inquietudini: «Anche i governi tecnici – da Monti a Draghi – vengono spesso percepiti come “nemici del popolo”, vissuti con maggiore insofferenza rispetto a governi legittimati dal voto. La loro logica del “sappiamo noi cosa è bene per voi” cozza con l’innato desiderio di libertà di ogni individuo».
La cultura del risentimento
«Il mondo contemporaneo è pervaso da una forte “cultura del risentimento“, di cui la destra si fa interprete – Aggiunge Fassa – Questo risentimento è alimentato da chi si sente escluso dai processi di modernizzazione e da giovani senza lavoro o sfiduciati. Queste masse di esclusi provano un enorme rancore nei confronti di un’élite dirigente progressista percepita come nemica».
La crisi è aggravata dalla trasformazione dei partiti tradizionali: «Il Partito Comunista Italiano, un tempo, fungeva da cinghia di trasmissione tra le istituzioni e la società, esercitando una pedagogia popolare che spiegava le decisioni alla base. Questa funzione è venuta meno, specialmente dopo la trasformazione da PCI a PDS. Le conseguenze sono state la nascita di populismi pericolosi e partiti autoreferenziali, dove i politici non spiegano più le problematiche complesse o, peggio, accusano il popolo di “sbagliare a votare”».
Il coraggio dell’impopolarità
Di fronte a questo quadro, qual è la via d’uscita? Fassa indica la necessità di «Agire non conformemente alle regole del gioco della classe politica, con il “coraggio dell’impopolarità fin dall’inizio” e la disponibilità ad affrontare “marce nel deserto lunghe”. Perchè è fondamentale dire la verità agli elettori, anche su questioni scomode come l’insostenibilità del sistema pensionistico, trattando i cittadini come persone intelligenti».
Così, per modificare le cose a medio-lungo termine «Servirebbe un “movimento rivoluzionario“, paradossalmente “estremista di centro“, disposto a non ottenere risultati immediati». Un vero paradosso, o forse addirittura un ossimoro, per districarsi in una situazione che non sembra avere una via di uscita “normale”.
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