Dieci anni senza Oliviero Bellinzani, l’alpinista che trasformò il limite in libertà
Martedì 28 ottobre, alle ore 21, nella Sala Giuseppe Montanari Varese ricorda l’alpinista che con una sola gamba scalò 1.131 vette, lasciando un segno indelebile nella storia dell’alpinismo e nel cuore di chi lo conobbe
A dieci anni dalla scomparsa di Oliviero Bellinzani, nel giorno in cui avrebbe compiuto settant’anni, Varese lo ricorda con una serata speciale, martedì 28 ottobre, alle ore 21, nella Sala Giuseppe Montanari. Un incontro per celebrare l’alpinista che, con una sola gamba, scalò 1.131 vette e divenne simbolo universale di tenacia e libertà.
Condotta dal giornalista del “Corriere della Sera” Claudio Arrigoni, la serata, organizzata dal CAI Varese con il patrocinio del Comune di Varese, vedrà gli interventi di amici e compagni di cordata. Massimo Magnocavallo, dell’associazione I Supersportivi e dell’Accademia dello Sport, ricorderà le loro salite, tra cui quella al Cervino dalla Cresta del Leone in giornata. Fabrizio Manoni, guida alpina, racconterà la scalata al Pizzo Fizzi per la via “Amico Barba Bianca”, impresa compiuta insieme a Oliviero e Paolo Stoppini, con cui aprì poi la via “Uomo con le Ali”. Ci sarà anche Giovanni Ludovico Montagnani, ingegnere e appassionato di montagna, che confesserà come l’esempio di Bellinzani lo abbia aiutato a superare un lungo periodo di riabilitazione dopo un grave incidente. Infine, l’alpinista Simone Pedeferri, dei Ragni di Lecco, offrirà un contributo video per ricordare la loro scalata alla Piccola di Lavaredo.
Ma chi era davvero l’uomo con le ali? Oliviero aveva ventun anni quando, il 5 febbraio 1977, la sua vita cambiò per sempre. Durante una gita in moto nel Varesotto, un incidente gravissimo lo lasciò sospeso tra la vita e la morte. «Sono morto due volte e due volte mi hanno riportato in vita» raccontava con la sua ironia quieta.
Dopo una settimana di agonia, i medici decisero per l’amputazione della gamba sinistra. Sei mesi dopo, con due stampelle e una volontà d’acciaio, decise di salire il Monte Nudo, in Valcuvia: la prima di una lunga serie di vette conquistate. «Non ho mai pensato a me stesso come a un disabile – diceva -. L’andare in montagna non è una sfida all’handicap, ma una sperimentazione delle mie possibilità tecniche. Le cose le fai perché le vuoi».
Da allora non si fermò più. Dal Resegone alla Grigna, dall’Alpe Devero ai quattromila del Monte Rosa, Oliviero portò la sua passione oltre ogni limite. Arrampicava spesso da solo, in equilibrio tra cielo e roccia: «La montagna è fatta di momenti particolari. A volte ti fermi, altre devi tirare fino allo spasimo. È lì che mente e corpo diventano una cosa sola».
Allenato, lucido, determinato, si definiva «un pessimista che crede in se stesso».
Il suo esempio continua a vivere in chi, guardando verso l’alto, sceglie di non arrendersi. Perché Oliviero Bellinzani non ha solo scalato montagne: ha insegnato che la vera vetta è dentro di noi.
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