Il mistero della scrittura: Matteo Fontana e l’arte di trasformare la vita in romanzo
Nella rubrica La materia del giorno, lo scrittore e regista Matteo Fontana racconta come nasce una storia, quale segreto si cela dietro i personaggi, e perché scrivere resta un atto di ricerca, verità e libertà
Scrivere è un sogno che molti custodiscono nel cassetto. Un desiderio antico: raccontare, raccontarsi, dare forma alle emozioni, trasformare la propria vita in una storia. Ma come si scrive davvero un romanzo? Da dove si comincia? Qual è la scintilla che accende il racconto? A queste domande ha risposto Matteo Fontana, scrittore e regista, varesino di nascita e milanese d’adozione, intervistato per la rubrica La materia del giorno.
Autore di “Gioko” (2009) e “Il veleno dei ricordi” (Feltrinelli), romanzo ispirato alla tragedia di Chernobyl, Fontana ha esordito anche nel cinema con il film “Lupo della notte“, pluripremiato nei festival internazionali.
Oggi torna con un nuovo progetto letterario, Effemeridi, una serie di sette volumi di cui il primo, “Tempus Fugit“, è stato pubblicato in autonomia su Amazon.
«L’idea di Effemeridi – racconta Fontana – nasce da un lutto, la perdita di mia madre. È una storia che scaturisce dal ricordo e dalla rielaborazione di sé. Scrivere, per me, è un’indagine: non tanto raccontare qualcosa, ma scoprire cosa si nasconde dentro quella materia».
OGNI STORIA CONTIENE UN SEGRETO
Ogni storia, spiega, contiene un segreto che lo scrittore tenta di sviscerare. Se il libro riesce, il mistero si rivela. Se non riesce, resta nascosto. È una sorta di “autovampirizzazione”: «Lo scrittore si nutre di sé – dice Fontana – offre al lettore qualcosa che appartiene al proprio sangue. Anche quando inventa, in fondo attinge sempre alla propria esperienza».
IL TEMPO DEL ROMANZO
Uno dei nodi centrali del romanzo, spiega, è la costruzione dei personaggi: «Devono essere credibili, coerenti nel loro agire. In una storia reale si parte dalla verità, ma nella fiction è la coerenza interna che dà vita al personaggio».
E poi c’è il tempo, tema cardine di “Tempus Fugit”: «Il tempo di scrittura diventa il tempo del romanzo. Bisogna lasciar vivere la storia, non ingabbiarla in schemi troppo rigidi. Ogni libro richiede i suoi ritmi e i suoi silenzi».
LA SCRITTURA È TOGLIERE
Per Fontana, scrivere è un lavoro di sottrazione: «È più un togliere che un aggiungere. Bisogna saper rinunciare a ciò che indebolisce la forza del racconto». Ed è proprio il dosaggio tra vero e verosimile, tra esperienza e invenzione, a rendere una storia autentica. «Spesso ciò che è vero non sembra vero, e viceversa. La scrittura deve mediare, rendere credibile, non necessariamente reale».
TALENTO E VOLONTÀ
L’autore, che insegna in una scuola di scrittura di Milano, riconosce il valore formativo dei corsi ma ne indica anche i limiti: «Una scuola non può trasformare un non-scrittore in scrittore. Il talento e la volontà devono esserci già. Si possono insegnare tecniche, trucchi, ma non la necessità profonda di passare mesi a scrivere ogni sera».
E sull’intelligenza artificiale, Fontana è netto: «Non mi spaventa. Le macchine possono generare testi corretti, ma non possono provare emozioni. La narrativa ha fame di individualità e verità. Nessuna intelligenza artificiale potrà mai restituire il profumo di un ricordo, il battito di un’emozione».
L’EDITORE
Infine, una riflessione sul suo percorso editoriale: «Dopo Feltrinelli e Salerno ho scelto Amazon perché Effemeridi è un progetto personale, intimo. Non volevo sottoporlo ai criteri di mercato. Volevo essere libero di farlo nascere così com’è. Pubblicare in autonomia significa anche questo: farsi editori di se stessi».
Nel suo racconto, Matteo Fontana restituisce il senso profondo del mestiere di scrivere: «Un atto di libertà e di verità, un modo per indagare il tempo e la memoria, e forse per sfuggire, almeno per un attimo, al loro inevitabile scorrere».
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