Paolo Pelizzoli, lo scultore che insegue le linee di luce del marmo
Alle visioni d’infanzia all’incontro con il maestro Sangregorio, fino al monumento per le vittime del lavoro: il percorso di un artista che trova nella materia la propria verità interiore
Paolo Pelizzoli, scultore originario di Taino, vive il rapporto con il marmo come un dialogo quotidiano. Scolpire per lui non è un mestiere, ma una necessità, un gesto vitale che lo accompagna ogni giorno. «Dentro il marmo vedo linee di luce», racconta. È da quelle linee che nasce ogni sua opera: visioni interiori che prendono forma nella pietra.
La sua vocazione affonda nell’infanzia. Figlio di un muratore bergamasco, Pelizzoli comincia giocando con la sabbia e i materiali del padre. «Fin da bambino avevo visioni, sogni a occhi aperti. Cercavo di rappresentarli con quello che avevo: la sabbia bagnata, la terra, le pietre».
Un giorno, da un blocco di marmo che il padre teneva nel terreno di casa, vide scaturire una luce azzurra. «Chiamai mio padre, ma lui non vide nulla. Da quel momento ho inseguito quella luce».
I primi anni non sono facili. Privo di mezzi, Pelizzoli lavora con pietre di scarto, frammenti imperfetti che deve adattare alla propria visione. «Il marmo di scarto era il mio marmo. Dovevo adattare la forma che vedevo a quella che avevo davanti».
Quando in seguito ha potuto scegliere i propri blocchi, anche nelle cave di Carrara, ha capito che per lui il vero criterio non è la purezza del materiale, ma la presenza di quella luce interiore.
Fondamentale nella sua crescita è stato l’incontro con Giancarlo San Gregorio, grande scultore e suo maestro. «Mi presentai alla sua porta, lui mi fece entrare e mi mise subito alla prova su un blocco di marmo. Da quel giorno nacque una stima reciproca e una grande amicizia».
Fu Sangregorio a incoraggiarlo a scolpire “in taglio diretto”, tecnica che implica lavorare la pietra senza modelli o disegni preparatori. «È una tecnica necessaria per me – spiega – perché cerco la verità della visione, non la perfezione dell’opera. Accetto le imperfezioni, fanno parte della verità». Nel suo percorso c’è anche un episodio drammatico: un grave incidente da ragazzo lo costrinse per anni all’immobilità.«Il disegno è stato la mia evasione. Era il mio modo di camminare nel mondo», ricorda. Quell’esperienza lo ha reso ancora più consapevole della forza rigenerante dell’arte. Tra le opere più recenti c’è il monumento dedicato alle vittime del lavoro, realizzato per la Fnp-Cisl di Besozzo e collocato sul viale della stazione. La figura scelta è quella di una donna, simbolo di speranza e rinascita. «La donna rappresenta la resilienza, la nuova primavera. L’ho scolpita come se si stesse risvegliando alla prima luce del giorno».
I volumi geometrici della scultura riflettono la luce creando un doppio luminoso della figura: un modo per rendere visibile quella luce che Pelizzoli cerca da sempre nel marmo.
Oggi, se un giovane bussasse alla porta del suo laboratorio, lo accoglierebbe come fece un tempo Sangregorio con lui. «Gli direi di avere coraggio, di rialzarsi ogni volta che cade. Anche un colpo sbagliato fa parte dell’opera. È così che la materia diventa vita, e la vita diventa arte».
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