Paolo Rolandi sulla Manovra 2026: «Serve una politica industriale che incentivi le filiere territoriali»

Il presidente di Confartigianato Imprese Varese: «I dazi Usa colpiscono un tessuto già fragile. Mentre 4,2 miliardi di Transizione 5.0 restano fermi, le Pmi pagano l'energia il 22,5% in più della media Ue»

paolo rolandi Confartigianato Imprese Varese

La manovra del 2026 si presenta con un paradosso che racconta l’Italia di oggi: tecnicamente siamo vicini a uscire dalla procedura per deficit eccessivo, lo spread scende ai livelli del 2010, le agenzie di rating ci guardano con maggior favore. Ma l’economia reale è affaticata, la manifattura è in crisi, e quando arrivano i dazi americani scoprono un tessuto produttivo già fragile, indebolito non tanto dalle crisi esterne quanto da cause interne che si trascinano da tempo.

A denunciarlo è Paolo Rolandi, presidente di Confartigianato Imprese Varese, in un documento di posizionamento sulla manovra che mette in fila tutte le contraddizioni del sistema produttivo italiano.

I NUMERI DEL PARADOSSO

I dati raccontano una storia fatta di luci e ombre. Da una parte la solidità ritrovata dei conti pubblici, dall’altra un’economia che cresce dello 0,8% nel 2026 e dello 0,6% nel 2027 secondo il Fondo monetario internazionale. Ma c’è un dato che più di tutti fotografa il paradosso italiano: al 24 settembre 2025 risultano non utilizzati 4,2 miliardi di euro di Transizione 5.0, il 66,7% delle risorse messe a disposizione. Soldi che dovrebbero servire a digitalizzare le imprese, aumentare la produttività, accompagnare la transizione green. Soldi che restano nei cassetti mentre le imprese faticano a innovare e a competere.

I prezzi dell’energia elettrica e del gas, nella media dei primi sette mesi del 2025, rimangono superiori del 49,8% ai livelli del 2021. Per le micro e piccole imprese lo spread sui prezzi dell’elettricità è del 22,5% rispetto alla media Ue, con un prelievo fiscale e parafiscale che è più che doppio (+117,4%) della media europea. L’Italia mantiene inoltre un carico fiscale del 2,2% superiore alla media europea.

I dazi americani hanno acceso i riflettori sulla fragilità dell’export italiano, ma il problema non è nato con Trump: è la conseguenza di filiere troppo lunghe, troppo dipendenti da mercati lontani, troppo esposte a choc geopolitici improvvisi. Quando l’acciaio e l’alluminio subiscono dazi del 50%, quando l’automotive deve fronteggiare un 15% di costi aggiuntivi, il danno colpisce tutta la filiera a monte e a valle.

LA RICHIESTA ALLE ISTITUZIONI

«Serve una politica industriale che incentivi la ricostituzione di filiere territoriali. Servono incentivi per chi riporta in Italia competenze e produzioni. Serve una formazione tecnica che prepari le persone a lavorare in queste filiere», dichiara con forza Paolo Rolandi. «E serve la consapevolezza che il territorio non è solo il luogo dove stanno le imprese, ma è la risorsa competitiva principale in un mondo dove le catene globali diventano sempre più fragili».

Secondo il presidente di Confartigianato Varese, le filiere corte rappresentano una risposta concreta alle fragilità del sistema: quando concentri gli approvvigionamenti in prossimità dei siti produttivi mantenendo libertà sui mercati di destinazione, riduci i rischi geopolitici. Quando le competenze sono sul territorio, non devi dipendere da fornitori a diecimila chilometri di distanza. Quando la filiera è corta, i costi di trasporto pesano meno, i tempi di risposta sono più rapidi, la capacità di innovare insieme cresce.

«Nel nostro territorio abbiamo ancora un patrimonio straordinario di competenze manifatturiere e tecniche. Ma questo patrimonio va valorizzato, va messo in rete, va sostenuto», aggiunge Rolandi. «Le filiere corte da sole non risolvono il problema dell’energia o quello fiscale, ma possono aiutare a costruire un tessuto produttivo più resiliente».

La manovra del 2026 può essere l’occasione per spezzare un circolo vizioso che dura da troppo tempo: quello di un Paese che ha le risorse per crescere ma non riesce a utilizzarle efficacemente, che ha territori con competenze straordinarie ma non li valorizza, che ha imprese capaci di innovare ma le penalizza con costi strutturali insostenibili.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Ottobre 2025
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