Per fermare le aggressioni al personale sanitario “Servono prevenzione e rispetto, non solo pene più dure”

Nel corso del convegno organizzato da Ats Insubria, l’avvocato Carlo Piana, esperto in diritto sanitario, ha messo in guardia dai limiti delle sanzioni penali e ha invitato a investire sulla prevenzione, sulla formazione e su una cultura del rispetto

convegno sicurezza personale

«Inasprire le pene non è un deterrente. La vera arma per combattere le aggressioni agli operatori sanitari è la prevenzione, è la relazione, è la comunicazione». Lo ha spiegato  l’avvocato Carlo Piana invitato al  convegno “La violenza verso gli operatori in ambito sanitario: una rete territoriale per la prevenzione”, organizzato da Ats Insubria e tenutosi nell’aula magna dell’Università dell’Insubria, via Ravasi, Varese.

Il suo è stato un intervento articolato, ricco di esempi concreti, riflessioni giuridiche e spunti culturali, nato dall’esperienza sul campo e dalla conoscenza profonda di un fenomeno che, negli anni, è passato da rischio “emergente” a problema strutturale.

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«Già nei primi anni 2000 – ha ricordato – si segnalavano con crescente preoccupazione i primi episodi di violenza nei reparti. «Qualcuno ci prendeva poco sul serio, altri addirittura sghignazzavano. Oggi purtroppo possiamo dire che avevamo visto giusto».

Prevenzione e formazione: le vere contromisure

Il primo dei cinque punti su cui ha insistito l’avvocato riguarda la prevenzione. Ma non una prevenzione generica, bensì multidisciplinare e strutturata. «Questo non è un rischio qualsiasi – ha sottolineato – non basta decidere quale DPI usare». Le aggressioni in ambito sanitario possono arrivare da pazienti, accompagnatori, utenti fragili, e persino tra colleghi: un insieme complesso di situazioni che vanno affrontate con metodo e attenzione sistemica.

Al centro della strategia, la formazione. Ma non quella esclusivamente tecnica: «Formazione e relazione di cura vanno di pari passo», ha spiegato Piana, rilanciando uno dei passaggi più significativi della giornata, quello del dottor Massimo Bianchi, dell’odine dei Medici di Varese: «Il paziente che si sente trattato con rispetto è disposto a tollerare anche un errore. Chi si sente ignorato non perdona nemmeno un graffio».

Il valore della relazione di cura

Secondo l’avvocato, la relazione tra operatore e paziente non è un orpello, ma parte integrante della prestazione sanitaria. E richiama la legge 219 del 2017 che ha sancito, tra le altre cose, il diritto all’autodeterminazione nelle cure: «Non si può più pensare che il diritto alla salute e il diritto a scegliere, entrambi sanciti dalla Costituzione, vengano gestiti separatamente. Sono due facce della stessa medaglia».

La relazione di cura diventa così anche un potente strumento di prevenzione, una barriera invisibile ma concreta contro le aggressioni.

Il limite dell’inasprimento delle pene

Piana ha espresso dubbi sull’efficacia delle recenti modifiche normative che hanno alzato le pene per chi aggredisce un operatore sanitario: «Pensare che basti aumentare le sanzioni è una bugia. È come ritenere che basta dichiarare illegale lo starnuto per bloccare l’influenza. La vera protezione viene da regole chiare, da protocolli condivisi, dalla formazione. E da una maggiore attenzione organizzativa».

L’avvocato suggerisce anche l’adozione di protocolli semplici e condivisi all’interno delle strutture, per aiutare il personale a gestire al meglio obblighi come la denuncia di episodi violenti: «Regole semplici sono più efficaci. Le norme complesse finiscono per essere inapplicate».

Cosa fare dopo un’aggressione: tutele e responsabilità

Tra gli aspetti più concreti dell’intervento anche l’analisi dei diritti dell’operatore aggredito. «Il contratto collettivo – ha ricordato – prevede l’obbligo per le strutture di garantire patrocinio legale e assistenza. Un principio ovvio, ma da non dare per scontato: tutelare chi lavora è un dovere, ma anche un interesse dell’ente».

L’avvocato Piana ha poi insistito sull’importanza di valutare il danno subito in modo completo: «Non parliamo, ad esempio, solo di occhiali rotti. Parliamo di stress post-traumatico, di danni psicologici importanti. Anche questo ha un costo, umano ed economico».

La conclusione: “Non bastano i numeri, serve empatia”

L’intervento si è chiuso con una riflessione che ha mescolato professionalità e vissuto personale: «Mia moglie è medico, ha lavorato al pronto soccorso. Conosco bene anche da casa questi racconti». E ha citato – senza recitarla – la poesia dedicata al mondo femminile “Il regno delle donne”  di Alda Merini che parla della differenza di genere e di come le donne abbiano una forza tale per riuscire a superale e andare avanti nella loro missione.

ricordando come siano soprattutto le donne a subire le aggressioni in ambito sanitario.

«Non bastano tecnicismi e dispositivi. Serve empatia, serve la capacità di entrare in relazione. È la stessa sensibilità che serve per comunicare una diagnosi senza distruggere chi la riceve. Cominciamo da lì».

Ats Insubria sta organizzando una serie di corsi destinati a migliorare la relazione medico paziente: a fine mese ne partirà uno legato alla comunicazione nei risultati degli screening mammografici.

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

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Pubblicato il 16 Ottobre 2025
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