I figli mordono, la madre li prende a cinghiate: arrestata a Varese per maltrattamenti
Le manette ai polsi della donna ventenne sono scattate nella giornata di venerdì. I bambini affidati ad una comunità protetta, a lei spesa la capacità genitoriale
I segni sul corpo di quei bambini avevano insospettito le educatrici di un paese vicino a Varese che hanno avvertito i carabinieri. Così venerdì i militari hanno fatto scattare il «blitz», coordinati dalla Procura di Varese, che ha portato all’arresto della donna per maltrattamenti in famiglia e causato l’allontanamento dei suoi due bambini, presi in carico da una comunità protetta.
L’accesso della polizia giudiziaria è avvenuto in un appartamento dove una donna di 20 anni, di origini straniere, viveva sola insieme ai suoi due bambini dopo essere fuggita — lei stessa — dalle violenze del marito da cui aveva divorziato. Si era rifugiata in Italia ed era arrivata in provincia di Varese coi ragazzini da qualche mese, insieme a un uomo conosciuto in una casa rifugio in Toscana che non viveva attualmente con lei.
Nell’appartamento i carabinieri hanno sequestrato alcune cinture, secondo l’accusa impiegate per battere i figli minori a causa del loro comportamento, una eccessiva vivacità. E poi quel vizio di mordere in continuazione. Così — questa è l’accusa — la donna avrebbe dato seguito a pesanti maltrattamenti, per lo meno tali da lasciare lividi sul corpo dei figli.
La sospettata è arrivata in manette lunedì di fronte al giudice per le indagini preliminari Niccolò Bernardi, che ha convalidato l’arresto rimettendola in libertà. Alla donna, difesa dall’avvocato Marco Bianchi, non sono state applicate misure cautelari. Il giudice ha sospeso temporaneamente la capacità genitoriale della donna, cui i figli erano stati affidati in via esclusiva; è stata poi disposta la traduzione dei bambini in una comunità protetta destinata ai minori.
«La mia assistita ha da sempre affermato di avere a cuore la salute dei suoi figli», ha spiegato l’avvocato Bianchi, che da subito invoca la derubricazione delle accuse da “maltrattamenti in famiglia”, reato che prevede una pena da tre a sette anni (aumentata però della metà se la vittima è un minore), ad “abuso dei mezzi di correzione o di disciplina”, per il quale è prevista una pena di gran lunga più tenue.
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