Pane e nutella, simboli italiani che vincono a Gede
Oggi è stato un giorno speciale per i bambini della scuola di Gede, ma anche un'occasione per aiutare un lavoratore a superare le sfide di tutti i giorni
Altro giorno di festa, alla scuola di Gede, siamo al finale, normale creare momenti speciali: e metti una crema di nocciola sul pane e per tutti è Nutella. Simboli italiani vincenti, ce ne sono anche in questo pezzetto d’Africa. E le mani e le bocche impiastricciate di bambini felici, dicono subito cosa è vincente qui: pane e nutella, uguale “special day”.
Oggi manca il pallone, il cortile della scuola è più silenzioso del solito. Viva la Nutella e dopo? Eh niente, bisogna recuperare un pallone. “Please, buy one!” Vengo condotto da una squadra di bambini probabilmente da un parente di uno di loro che ha una bancarella fuori da scuola. Si compra il pallone nuovo, evviva, festa doppia. “But it’s chinese” eh già: e allora? Niente, anche i bambini sono rassegnati, la partita dura un’ora prima che il pallone si apra come una mela. Non conoscono la parola “tarocco”, ma intendono bene anche loro in concetto di cinesata.
Simboli che vedi a Watamu? Il numero uno, il business lo ha fatto per anni la Piaggio: l’Ape car più della Ferrari. Con i tuk tuk hanno riempito il Kenya all’inverosimile, Ape car indistruttibili che vanno anche se sembrano doversi rompere da un metro all’altro. E, visti i tempi, c’è chi si aggiorna e chiama il proprio tuk tuk “Jannik Sinner”, a proposito dell’Italia che vince anche qui, dove non si è mai giocato a tennis.

Italia uguale pizza, Watamu è piena di pizzerie gestite o aperte da italiani. E così con una geniale operazione di marketing, un uomo che gestisce una kibanda tra le più povere (una brace e due banchetti, tre sedie e quattro lamiere) si è inventato la pizza africana, che in realtà non somiglia alla nostra, è una specie di raviolone ripieno cotto su una piastra, ma il nome richiama: gli schizzinosi però non conosceranno mai il sapore, che è molto buono.
E il simbolo british per eccellenza? Indubbiamente lui, Rowan Atkinson, alias Mister Bean, che non si sa per quale motivo è diventato il simbolo dei Matatu, i furgoncini che trasportano gente, animali, verdure all’inverosimile, al ritmo dello swahili raggae. Nessuno se lo spiega, tra gli autisti di Gede e Malindi, ma è così: mister Bean, qui è il simbolo del Matatu. E funziona, perché la gente non ha una grande cultura dei trasporti. È il mezzo più veloce ed economico al tempo stesso, quindi ha successo.

Poi ci sono i Bajaji, i mototaxi, tutti uguali, giovanotti in sella alla loro moto Boxeur, tutti con il tachimetro che è tarato per non superare i cinquanta all’ora, ma è anche il mezzo ambito dai giovani qui: lento, ok, ma è pur sempre un cavallo d’acciaio ben più fortunato dell’antica bicicletta.
La bicicletta a Watamu è il mezzo dei penultimi, perché gli ultimi vanno a piedi: non è ancora un mezzo sportivo, è semplicemente un cigolante macino a pedali che ti porta da qua a là in un tempo più ragionevole rispetto a camminare. Si usano soprattutto biciclette immortali, riciclate, riadattate, utilizzate fino a che girano i pedali. A occuparsi delle biciclette degli ultimi, qui è Sami: «Mando avanti questa baracca da vent’anni, questo so fare». In questi giorni è particolarmente demoralizzato perché qualche notte fa, qualcuno ha forzato la porta del suo sgabuzzino sul retro e gli ha rubato la cassetta degli attrezzi. E allora che si fa? «Si riparano le bici con quel che c’è, ci si inventa qualcosa, perché non ho i soldi per ricomprare tutto subito. Mi sono potuto permettere un tiraraggi, l’unico attrezzo che ho potuto rimpiazzare subito, il resto vediamo». Si arrangia con vecchi cacciaviti, pinze e con le mani. Polvere, grasso e grinta per rimettere in strada macinini che da noi sarebbero da discarica, ma lì sono vitali per chi non ha niente per spostarsi.

Da dove si può ricominciare? Qui non bisogna dimenticare che si può fare tanto con poco. E in bicicletta, una piccola spinta può aiutare a riprendere l’equilibrio. E così, si va in ferramenta qui a Gede e si comprano due chiavi inglesi, una 14/15 e una 12/13. Perché quegli attrezzi? Perché con sole due chiavi, chi ripara bici può smontare ruote, pedali, selle e manubri. Non un’elemosina, ma una piccola spinta. E Sami capisce e gradisce, perché chi conosce le biciclette sa che, anche di fronte alle difficoltà (e ai furti), se vuoi ripartire, devi risalire in sella da solo. Poi se c’è una piccola spinta, meglio.
Ed è la stessa filosofia con cui si vuole costruire una scuola nuova per i bambini di Gede: gettare un seme, non offrire direttamente il frutto, vale molto di più.
Per contribuire al progetto: AMANI FOR GEDE – La scuola della speranza – Merisha for Kenya
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
Giuseppe Mantica su Concerto di Santa Cecilia: La Casoratese celebra la musica in un viaggio nel tempo e nel mondo attraversando culture diverse
Claudio Pilotti su Il disastro del Campo dei fiori finalista con ANSO al premio AICA con il progetto «Scrivo da un paese che non esiste»
Felice su In 15 anni calano del 50% le nascite nell’alto Varesotto: un convegno per ripensare l’infanzia e la genitorialità
Viacolvento su Pace fatta tra commercianti e Comune di Cavaria: "Il sindaco non ha responsabilità"
Felice su "Togliete quelle pellicole: il viaggio in treno è anche il nostro bellissimo panorama"
Felice su Abbandona rifiuti nei boschi della Linea Cadorna: multa da 4.500 euro ad un 60enne










Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.