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“Racconto quegli anni senza miti”: un uomo, il carcere, gli anni ’70. Il film che riapre una storia scomoda

“Pensando ad Anna” ripercorre la vicenda di Pasquale Abatangelo, tra lotta per i diritti dei detenuti, memoria personale e le fratture politiche di una stagione decisiva. Mercoledì 19 novembre alle 21 la proiezione a Materia Spazio Libero

Materia Varesenews

Un intreccio di linguaggi – cinema, teatro, ricerca e memoria – che non vuole semplicemente raccontare una storia, ma interrogare chi guarda. È l’orizzonte entro cui si muove Pensando ad Anna, il film di Tomaso Aramini dedicato a Pasquale Abatangelo, figura centrale della lotta per i diritti dei detenuti negli anni Settanta. Un’opera che sarà presentata mercoledì 19 novembre alle 21.00 a Materia Spazio Libero, con la partecipazione in collegamento del regista e dello stesso Abatangelo (PRENOTA QUI IL TUO POSTO ALLA SERATA).

Al centro del lavoro di Aramini c’è la scelta – non priva di rischi – dell’etnografia performativa come metodo fondativo del film. «La sfida più complessa – spiega il regista – è stata costruire un equilibrio tra tre forme narrative che di solito restano parallele: documentario, ricostruzione scenica e archivio. Qui interagiscono direttamente, dal vivo, nella scena. Il timore era che lo spettatore potesse sentirsi estraneo, più che stranito, e quindi distante dalla riflessione politica e umana che il film propone». Il riferimento va a un cinema che ha già sfiorato simili approcci – da The Act of Killing agli esperimenti di Petri e Risi – ma che in Pensando ad Anna diventa un metodo compiuto di indagine.

Tra le figure che definiscono il racconto, Anna occupa un posto particolare: presenza determinante, pur nel suo essere assente. Non un simbolo, chiarisce Aramini, ma un legame: «Anna è una figura relazionale. È il ponte che ha permesso a Pasquale di abitare ancora oggi quegli anni, e a me di raccontarli. La sua storia entra nel film grazie alla fiducia che Pasquale mi ha accordato: senza di essa non sarebbe stato possibile restituirne la verità emotiva e politica».

La complessità del percorso umano e politico di Abatangelo – e del contesto storico in cui si inscrive – imponeva un equilibrio delicato. Nessuna mitizzazione, nessuna condanna retrospettiva. «L’etnografia performativa – afferma il regista – implica una relazione orizzontale tra ricercatore e soggetto. Da questa relazione nasce la possibilità di indagare le scelte di Pasquale senza visioni apologetiche né giudiziarie. Alla radice c’è anche il materialismo storico, necessario per leggere quella stagione: lotta di classe, rapporti di produzione, il conflitto tra Stato e movimenti, tra PCI e sinistra extraparlamentare, tra democrazia e carcere». A questo impianto si è aggiunto lo sguardo giornalistico di Fulvio Buffi, che nel film stimola Abatangelo a una riflessione attuale sul proprio passato.

L’impianto visivo, fortemente teatrale, non nasce come un esercizio di stile ma come esito naturale della relazione con il protagonista. «All’inizio non immaginavo un film così – ammette Aramini -. È stato il progressivo consolidarsi della fiducia con Pasquale a orientare l’estetica del racconto. L’etnografia performativa, con la sua pratica di rimettere in scena momenti di vita per generare riflessività, si è rivelata lo strumento più adeguato per tornare a interrogare gli anni Settanta». La scelta dei lunghi piani sequenza, la continua entrata e uscita dalla scena, il passaggio costante tra presente, passato e sua rielaborazione non hanno solo una funzione narrativa: cercano di coinvolgere lo spettatore nello stesso processo critico che investe il protagonista.

«È un film che rifiuta l’immediatezza dello spettacolo – osserva Aramini -. Vuole uno spettatore vigile, capace di uscire e rientrare continuamente dalla rappresentazione. Perché parlare degli anni Settanta oggi significa fare i conti con narrazioni complottiste, semplificazioni politiche o nostalgie superficiali. La sfida è restituire complessità, non un’icona».

Con Pensando ad Anna, Aramini prova dunque a riaprire un dialogo su una stagione storica ancora controversa, scegliendo una forma che fa della relazione – tra chi filma, chi si racconta e chi guarda – il cuore stesso della memoria.

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Materia Spazio Libero si trova in via Confalonieri 5 Sant’Alessandro Castronno. 

Pasquale Abatangelo: “Il carcere di oggi è peggiore di quello degli anni ’70″

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Pubblicato il 18 Novembre 2025
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