Dietro le sbarre una Babele: “L’emergenza è la quotidianità”
"Flash" dal carcere di via per Cassano, La Polizia Penitenziaria in festa accoglie la stampa e i rappresentanti del Comune, il direttore Nastasia racconta luci e ombre di una realtà difficile, bisognosa di risorse e dell'appoggio morale dei cittadini
Il carcere apre i suoi battenti per una conferenza stampa in occasione della giornata di festa provinciale della Polizia Penitenziaria, corpo che quest’anno compie ben 192 anni. In rappresentanza del Comune, ad affiancare il direttore della struttura di via per Cassano, Salvatore Nastasia, e la comandante degli agenti Michela Cangiano gli assessori Mario Crespi e Alberto Armiraglio in rappresentanza del Comune. La giornata avrebbe potuto vedere più autorità ma la concomitante festa regionale della Guardia di Finanza, organismo legato a filo doppio (anzi: "ammanettato"…) alla Penitenziaria date le mansioni, porterà via un minimo di attenzione. In serata comunque al Museo del Tessile si terrà una celebrazione, sobria, poichè parte dei fondi previsti vengono giustamente devoluti alla ricostruzione dell’Abruzzo ferito dal sisma.
«Ci inorgoglisce che questo corpo abbia un riconoscimento dalla città» dice il direttore Nastasia. «È un modo di sfuggire all’autoreferenzialità, a quella visibilità parziale sui mass media che scatta solo per fatti eclatanti». Il responsabile del carcere non perde occasione per ribadire che se qui i problemi sono all’ordine del giorno – «l’emergenza è la quotidianità» – altrove è anche peggio: lui ne sa qualcosa, gestendo per una sostituzione anche il carcere del Bassone di Como, perennemente sovraffollato. Non ridono, avverte, anche il Triveneto o il Piemonte (quest’ultimo «la Siberia dell’amministrazione…», detto da uno che lo conosce). Mancano risorse anche per interventi strutturali: per moderno che sia, anche il carcere bustese ne ha bisogno e in mancanza di questi rischia, alla lunga, di cadere in testa a chi lo occupa. Già ora vi sono infiltrazioni in caso di piogge persistenti.
Qui a Busto Arsizio il rapporto più stretto è quello con Malpensa e con il relativo nucleo della GdF, le dogane, la Polaria. Il turnover dei detenuti è altissimo, la percentuale di stranieri impressionante, sono in netta maggioranza. Al momento si trovano in via per Cassano in 408, vigilati da 251 agenti: nei suoi 25 anni di vita dal carcere bustese sono passate oltre ventimila persone. Da Malpensa quasi quotidianamente arrivano i «disperati», gli ovulatori disposti a ingerire quantitativi di droga per trasportarli nel proprio apparato digerente a rischio della vita. Il loro numero è in aumento, non vengono più solo dalle rotte classiche e, pertanto, sospette a priori, di Sudamerica e Africa: per non farsi beccare prendono sempre più voli a corto raggio da altre parti d’Europa, anche charter. Eppur finiscono dentro. Non prima di essere passati all’apposito reparto del Sant’Antonio Abate di Gallarate per … evacuare il corpo del reato. Un impegno anche questo tipo di sorveglianza per la Penitenziaria bustese, già gravata da compiti ordinari e straordinari, e che già denunciava un anno fa tutta la difficoltà del proprio operare. «I detenuti hanno diritti, ma ciò a volte va a scapito dell’agente di turno che si trova a tenere d’occhio qualcosa come 75 persone… si creano situazioni ansiogene anche senza fatti straordinari». Quali detenuti che stanno male, molti per somatizzazioni psicologiche; altri che compiono atti di autolesionismo, o che rivolgerebbero la loro rabbia contro i compagni di sventura non fosse per l’attenzione del personale nel prevenire e tamponare, anche usando un pizzico di psicologia spicciola, queste esplosioni, comprensibili ma assai difficili da gestire, di insofferenza e ribellione tra i detenuti. Tra i quali a rendere difficili le cose sono le diversità etniche: 44 nazionalità differenti al momento, una vera Babele dietro le sbarre. Con problemi enormi di comprensione e convivenza, che si cerca in ogni modo di evitare degenerino in scontri a sfondo razziale o religioso. Nè elementi all’apprenza unificanti, come l’Islam, sembrano in grado di sopire le differenze tra nazionalità diverse, pur vicine per contesto culturale.
In carcere tutto è molto complesso, non si stanca di dire Nastasia. Non è il mondo di Alcatraz, l’immaginario popolare non ha bene in mente come funzioni un carcere al giorno d’oggi. Il lavoro dei detenuti, inteso come riqualificazione e formazione professionale, è una realtà concreta, ma al tempo stesso limitata dalle risorse disponibili, tra volontariato ed aziende disposte a collaborare. Ciononostante i corsi professionali sono triplicati rispetto allo scorso anno. «Il lavoro non serve solo a non far vegetare in cella queste persone, ma anche a "dare loro la canna da pesca", perchè a rieducaizone si ferma sul portone d’uscita dal carcere. Oltre, non c’è nulla che aiuti a ricostruire una vita. Assumereste un ex detenuto? È quello il problema». Il carcere non fa buon curriculum. Ed è in certo senso un peccato: c’è chi in via per Cassano ha imparato un mestiere. Nastasia ricorda un piacere un ex detenuto che di recente gli ha scritto salutandolo dal Sudamerica: in carcere aveva appreso da zero i segreti dell’apicoltura, e tornato in patria a pena scontata vi si è dedicato con successo.
«Di carcere si parla troppo poco» dichiara l’assessore ai servizi sociali, avvocato Mario Crespi. «È una realtà importante sotto il profilo etico e sociale, una vera cittadella nella città». Vi sarà dato spazio anche in una nuova rivista giuridica da poco alle stampe, Themis, curata dall’avvocato Roberto Porrello. «Ogni giorno si compiono in silenzio atti di eroismo» racconta Michela Cangiano, a capo degli agenti di polizia penitenziaria di via per Cassano. «Si soccorre e si prevengono violenze e autolesionismi, talvolta a rischio per la nostra salute, molti detenuti sono malati», o sieropositivi. «Venendo qui oggi avete realizzato un dovere civico: il carcere non riguarda solo chi ci lavora o vi si trova recluso, ma tutti i cittadini. Tutela dei diritti, rispetto della dignità della persona, dare un’opportunità di reinserimento: va tutto bene, ma fuori non c’è nessuno che accompagna oltre l’ex detenuto. La sola repressione non serve, bisogna educare, seguire. Le coscienze si smuovano».
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