Il campo nomadi di Baranzate
Roulotte sgarruppate, catapecchie cadenti, ma anche Bmw, Mercedes, ville con piscine e "made in Italy" di lusso
«Bisogna mandarli via questi zingari! Guarda le allacciature della corrente, questi la rubano, e io invece mi sono fatto un mazzo per avere i permessi», a parlare è l’imprenditore di un’azienda nei pressi del campo nomadi di Baranzate, un piccolo "quartiere che si estende ai confini con la città di Milano.
All’entrata del vialetto che porta al campo si stendono decine di tralicci traballanti sui quali corrono, aggrovigliati e scoperti, i cavi della corrente. Sono allacciati in modo poco ortodosso a una centralina elettrica coperta da rovi ed erbacce. Tutto attorno cumoli di spazzatura, rottami e qualche carcassa di automobile.
Le prime abitazioni che s’incontrano sono roulotte molto fatiscenti, proseguendo lungo la via però le case diventano vere e proprie ville da signori. Tutte abusive. Una è particolarmente appariscente: ha un piccolo viale d’ingresso sul quale sono parcheggiate alcune macchine, tutte dai 30mila euro in su, l’uscio è preceduto da un piccolo patio, sovrastato da tre guglie dalle quali si domina il territorio antistante.
All’esterno gli operatori che si occupano dei rifiuti comunali scaricano i cassoni pieni. «Vengo
qua tutte le mattine – ha detto uno degli operatori – a me non danno molto fastido, però lo spettacolo è molto degradante. Io non so come facciano a comprarsi quei macchinoni, so solo che io lavoro tutti i giorni trasportando rifiuti per 8 ore al giorno e non posso permettermi neanche di sognarli, loro non fanno niente eppure..».
Gli abitanti del campo sono molto curiosi, i bambini sono i primi a farsi avanti «non potete mandarci via, a noi piace qua. Ci siamo nati e abbiamo sempre giocato su questa strada. Andiamo anche a scuola, perché vogliono mandarci via?».
Il signor Stankovic è molto anziano, vive all’interno del campo da 20 anni. Insieme a lui ci sono la moglie, la figlia e i nipotini. «Se ci mandano via ci faremo sentire, ci accamperemo davanti al comune – dice la famiglia Stankovic – viviamo su questa terra da sempre, l’abbiamo comprata e abbiamo costruito la nostra casa».
Le informazioni che danno sono piuttosto discordanti, senza dubbio sono allacciati alla corrente elettrica e alla rete idrica perchè c’è luce e acqua, «paghiamo la bolletta regolarmente», dicono, però innrealtà non possono ricevere la posta.
La famiglia Stankovic (a sinistra nella foto) non vive in una casa sfarzosa, la cucina è piuttosto fatiscente, una sorta di garage all’interno del quale sono stati installati i fornelli, i lavandini, un forno e una piccola caldaia. La nonna di casa è indaffarata a preparare una casseruola di peperoni al forno: «ci siamo trasferiti qua dopo la guerra in Jugoslavia – dice – non è stato facile. Quando parlano male di noi non sanno che non siamo tutti uguali, noi non diamo fastidio a nessuno, certo tra di noi molti lo fanno ma non tutti».
Le persone che si affacciano a guardare lo confermano, molti non sono vestiti come la signora Stankovic, hanno scarpe lucide, camice di marca e orologi luccicanti. Le loro facce non sono rassicuranti, non parlano e guardano minacciosi. Le loro abitazioni e le loro macchine ostentano un lusso stridente con l’ambiente circostante. Grosse berline e suv sono parchegiati in mezzo a rottami e immondizia.
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