Eventi a Materia

Dai Grammy a Materia, la vita “armonica e blues” di Fabrizio Poggi: “Un genere che guarisce l’anima”

Partito da Voghera, il bluesman è arrivato fino al Madison Square Garden, alle spalle solo dei Rolling Stones. L'incredibile viaggio oltre oceano diventa un libro: Believe, scritto da Serena Simula per Arcana. Venerdì 18 luglio la serata allo spazio libero di VareseNews

Fabrizio Poggi -

«Ho sempre pensato di essere nato e andato alla stazione sbagliata. Ma forse sono diventato quello che sono proprio perché aspettavo quei treni che non passavano mai».

 

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Fabrizio Poggi utilizza questa metafora, quasi da Hobo, per raccontare un incredibile viaggio che l’ha visto partire da Voghera e arrivare al Madison Square Garden, al cospetto dei bluesman più importanti del mondo. Lui, il primo italiano a rientrare nella cinquina dei Grammy Awards, gli Oscar della musica, per la categoria Best Traditional Blues Album,  alle spalle solo dei Rolling Stones e al loro Blue & Lonesome. 

La sua è una vita di musica,  quella fatta col cuore, e col fiato. La sua armonica ha infatti attraversato l’oceano, scalato classifiche, raccontato storie e accompagnato preghiere. Lo farà anche a Materia – lo spazio culturale di VareseNews in via Confalonieri 5 – venerdì 18 luglio, alle 21. Insieme al chitarrista Enrico Polverari, Poggi presenterà Believe, il libro edito da Arcana e scritto da Serena Simula, che ripercorre la sua storia.

Una storia di musica, certo, ma anche di quella testardaggine che diventa determinazione, di viaggi impossibili, di sogni che sembravano fuori scala per un ragazzo cresciuto nella provincia pavese negli Anni Sessanta. E che è finito a competere con quegli stessi Rolling Stones di cui aveva dischi e poster.

«Non mi sono mai sentito uno scrittore. Però sentivo il bisogno di condividere quello che avevo vissuto. Di mettere a disposizione le esperienze della mia vita». Believe, uscito nell’estate del 2024, nasce così. Un gesto “quasi di servizio”. «Avrei voluto, da giovane, poter leggere un libro del genere – spiega Poggi -. Sentirmi dire che si può partire da una piccola città, credere nella musica e farcela. Anche quando i treni sembrano non arrivare mai».

IL BLUES CHE GUARISCE

A mettere nero su bianco la vita del bluesman è stata la giornalista Serena Simula. Lei stessa ha trovato il titolo: Believe. Una parola che Poggi aveva usato spesso durante le conversazioni e che convinto fin dal primo giorno l’editore, Arcana, la casa editrice di riferimento per il mondo della musica. «Believe è una parola che in inglese ha una carica davvero forte, ha un peso specifico molto importante negli States, non viene usata a sproposito».

Le pagine di Believe raccontano una storia personale, in cui il blues è una vera e propria attitudine, piuttosto che un genere musicale (per quanto importante e fondativo nella storia della popular music). È sempre stato, fin dalle piantagioni del Mississippi, un linguaggio universale per chi ha un animo sensibile da dover guarire. «Il blues ha una vibrazione che ti entra dentro. Non si può spiegare del tutto. È nato per guarire. Per questo ho chiamato Healing Blues il mio ultimo disco. Ci ho messo tutta una vita a trovare quel titolo, ma era lì da sempre, in ogni nota, eppure prima ci sono voluti più di venticinque album».

L’AMERICA, DALL’ALTRA PARTE DELLA LUNA

Nella storia di Poggi il blues arriva quasi come una rivelazione. «Quando i miei amici lavoravano o facevano altro, io scoprivo che quel suono mi dava sensazioni che nient’altro riusciva a darmi. Avevo già un’armonica, ma non c’era un vero “metodo” per imparare davvero: niente libri in italiano, niente scuole, zero riferimenti se non il proprio orecchio. Sembrava tutto dall’altra parte della luna».

Così Poggi attraversa l’oceano, fisicamente e simbolicamente. Il primo viaggio in America è alla fine degli anni Ottanta. «Uno dei primi giorni in America ho speso 400 dollari in libri e strumenti. Erano tantissimi soldi, anche il commesso mi fece notare la somma, ma non mi importava. Viaggiare all’epoca costa molto e non sapevo quando sarei potuto tornare in America, era un’occasione irripetibile per il me di allora, e ho voluto sfruttarla».

Da lì, un cammino fatto di incontri, di ricerca, di dischi ascoltati e pubblicati. Fino alla nomination ai Grammy nel 2018, insieme a Guy Davis, con l’album Sonny & Brownie’s Last Train. «È stato come ricevere un invito in famiglia. Nella categoria Best Traditional Blues Album non è comune trovare musicisti bianchi. Ma è proprio questo che ha aggiunto valore al percorso, come il fatto di esserci arrivato trovando una voce mia».

Quella voce è (anche) l’armonica. Uno strumento che sembra inchiodato al tempo, ci racconta, uguale a se stesso da più di settant’anni. «Negli anni ’40 e ’50 hanno sintetizzato i modelli migliori. Da allora, ogni tentativo di innovazione ha avuto solo relativo successo. Gli armonicisti sono “tradizionalisti”, ma c’è un motivo: quello che succede davvero non è nello strumento, ma dentro al corpo di chi lo suona. È come una voce. Ha un’espressività che ti arriva addosso».

Poggi la racconta come un’ossessione gentile, una passione che necessitava di essere coltivata. «Mi svegliavo nel sonno per pensare alle armoniche. Le portavo con me ovunque. Purtroppo però si consumano facilmente e non durano per sempre: non ci si può affezionare per un lungo periodo come se fossero delle chitarre». La prima che ha avuto non era troppo diversa da quella che usa ancora oggi. «Quasi una compagna di strada. Mi ha fatto compagnia per tutta la vita. Le colleziono ancora tutte».

A Materia, il 18 luglio, Poggi non parlerà però solo di strumenti e musica. Racconterà anche lo spirito dietro le canzoni e la volontà di scrivere il libro. «Si dice che i ragazzi non sognino più, che non vogliano fare sacrifici. Io non ci credo. Né credo che manchino i bravi maestri. Serve solo che qualcuno accenda una luce. E se anche solo due righe del libro riescono a farlo, allora valeva la pena scriverlo».

“SIAMO TUTTI SOTTO LA STESSA VERANDA DEL MISSISSIPPI”

Il blues, per Poggi, è un sentimento che si fa materia, come lo spazio libero di VareseNews, e diventa uno spazio comune, per tutte le persone toccate dalla musica. Come la veranda del Mississippi, dove ci si sedeva la sera, magari su una sedia a dondolo, dopo una giornata di lavoro, per stare insieme e suonare. «Il pubblico non è mai solo pubblico. È parte della performance e per questo io chiedo di essere partecipe, di seguire il tempo. Il blues si suona tra persone che condividono un’emozione. Quando si fa il blues siamo tutti sotto la stessa veranda del Mississippi».

Nella carriera di Poggi c’è spazio anche per episodi emotivamente profondi. Come l’esibizione davanti alla tomba di Martin Luther King e la nomina a Cavaliere della Repubblica, qualcosa di pionieristico per un armonicista. «Avrei tanto voluto suonare Amazing Grace per Papa Francesco. Non mi definisco “religioso”, non in senso stretto, ma credo di avere una mia spiritualità e con lui sentivo una vicinanza, un’affinità. Quando è volato in cielo, sono andato sotto un albero e ho suonato Amazing Grace». Quel brano è tornato anche in Georgia. «L’ho suonato davanti alla tomba di Martin Luther King, con le lacrime agli occhi. Quella canzone, la preferita di Martin Luther King, per me è come una preghiera. La prima strofa – “prima non vedevo, ora vedo” – mi commuove ogni volta. È la storia di un peccatore che si riscatta. È la storia di molti, in fondo. Quella di chi ha attraversato tempeste e ha continuato a crederci».

“CHI NON AMA IL BLUES HA UN BUCO NELL’ANIMA”

C’è anche ironia e leggerezza nel modo in cui Poggi racconta la sua vita. Come l’aneddoto di quando, da ragazzo, aveva pensato che in Italia le armoniche non fossero le stesse degli americani. «Era un pensiero assurdo, ma a quel tempo ci poteva stare. Non c’erano informazioni. Era tutto un altro mondo». Anche quella, oggi, è diventata una lezione: «A volte ci si costruisce da soli, sbagliando. Ma ogni errore ti insegna a suonare meglio».

Quella sensazione che il blues regala a chi sa ascoltarlo, Poggi lo ha ritrovato anche in una frase su un cartello appeso in un negozio di strumenti: «C’è una frase che mi ha colpito molto e che voglio “far mia”: chi non ama il blues ha un buco nell’anima. È un’iperbole, certo. Ma il punto è che questa musica ti nutre. Ti consola. Ti ricorda che non sei solo». E allora, sotto quella veranda immaginaria del Mississippi, ci siamo anche noi.

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Ingresso gratuito. L’evento è organizzato da Anche Io Aps. 

Marco Tresca
marco.cippio.tresca@gmail.com

 

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Pubblicato il 16 Luglio 2025
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