Giuliana Sgrena a Varese: «In Palestina si consuma un genocidio senza testimoni»
In dialogo con Annamaria Guidi (People), Sgrena ha ripercorso il suo lungo percorso di giornalista di guerra e riflettuto sull’evoluzione del mestiere dell’inviato, con uno sguardo critico sull’informazione contemporanea

Nella serata di venerdì 10 ottobre, la giornalista e scrittrice Giuliana Sgrena è intervenuta alla Biblioteca Civica di Varese, ospite di Fondamentali, il Festival dei diritti, per presentare il suo nuovo libro Me la sono andata a cercare. Diari di una reporter di guerra (Laterza, 2025).
In dialogo con Annamaria Guidi (People), Sgrena ha ripercorso il suo lungo percorso di giornalista di guerra e riflettuto sull’evoluzione del mestiere dell’inviato, con uno sguardo critico sull’informazione contemporanea.
Gaza, «Un genocidio senza testimoni esterni»
Al centro del suo intervento, la Palestina, «un genocidio — l’ha definita Sgrena — che si consuma senza testimoni esterni». Sgrena ha ricordato come oggi «più di 250 giornalisti palestinesi siano stati uccisi» a Gaza, un numero mai raggiunto in altri scenari di guerra. «Sono loro che ci mandano le immagini, che ci permettono di vedere la distruzione della Striscia — ha spiegato — e troppo spesso la loro voce non viene riconosciuta come quella di giornalisti, ma trattata come marginale o sospetta».
Sgrena è critica anche verso il modo in cui i media occidentali hanno raccontato il conflitto. «Una superficialità diffusa — ha denunciato — e la tendenza a riprendere le versioni ufficiali dell’esercito israeliano senza verificarle». Ha citato come esempio alcuni servizi televisivi italiani che, a suo dire, «ripropongono le veline dei militari» senza fornire un contesto né chiarire l’origine delle immagini. «Un giornalismo onesto — ha aggiunto — dovrebbe sempre dichiarare da dove provengono le fonti: se da Gaza, da Israele, o da un’agenzia terza. Non si tratta di scegliere una parte, ma di rispettare la verità dei fatti».
«Un accordo senza i palestinesi, non può essere un accordo di pace»
Riguardo alle recenti trattative per un cessate il fuoco, Sgrena ha invitato alla prudenza nel definirle “accordi di pace”. «Un accordo che esclude i palestinesi non può essere un accordo di pace — ha sottolineato —. È, al massimo, una pausa nei bombardamenti per una popolazione stremata, senza acqua né cibo, che cerca di tornare in case che non esistono più».
Un giornalismo di guerra più veloce ma meno affidabile
Parlando del panorama informativo più ampio, Sgrena ha ricordato come negli ultimi decenni il giornalismo di guerra sia cambiato profondamente: «Oggi la rapidità della comunicazione ha sostituito la verifica. La logica della breaking news ha reso meno affidabile l’informazione. Un tempo, per inviare un articolo bisognava trovare un telefono in mezzo alle montagne; oggi basta un clic, ma spesso si perde il senso di responsabilità verso ciò che si racconta».
Guerra in Ucraina, «Difficile andare oltre la propaganda»
Un secondo passaggio importante del suo intervento ha riguardato la guerra in Ucraina, dove — secondo Sgrena — «molti giornalisti inviati non avevano mai seguito un conflitto prima». Questo, ha spiegato, «rende più difficile riconoscere la propaganda e i limiti di ciò che si può raccontare».
Ha ricordato che in Ucraina «i movimenti dei giornalisti sono rigidamente controllati e chi prova a muoversi fuori dagli itinerari stabiliti rischia di essere espulso». Per questo motivo, ha aggiunto, «non vediamo tutta la realtà della guerra: chi si rifiuta di combattere, chi si nasconde, chi dissente».
Giovani e l’informazione via social, «Strumento potente ma pericoloso»
Infine, Sgrena ha espresso un cauto ottimismo verso la rinnovata sensibilità dei più giovani: «Le manifestazioni di solidarietà per la Palestina hanno risvegliato una parte della società civile. Molti ragazzi si informano attraverso i social, che sono uno strumento potente ma anche pericoloso. L’importante è imparare a distinguere ciò che è verificato da ciò che è manipolato».
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