Un’eredità da valorizzare

Nel considerare lo schema economico elementare per studiare i problemi, le correlazioni e le azioni, è emerso come vi siano prodotti e servizi locali che mal si prestano alla vendita lontano dalla produzione, e servizi e prodotti che invece possono essere destinati a consumatori e clienti di luoghi distanti.
Tra i primi metterei, per rifarci ai paradigmi dei precedenti articoli, le verdure dell’orto e le trote pescate nel fiume delle proprie colline, e quindi i beni deperibili e non trasportabili, i servizi alla casa e alla persona, il lavoro di artigiani, riparatori, installatori, negozianti, camerieri, tutto il commercio locale, nonché i servizi alla persona per il suo benessere fisico, ricreativo e culturale con medici, massaggiatori, allenatori personali, teatro, mostre, cabaret, istitutori, insegnanti. Tutti questi prodotti e servizi si generano e sono consumati in una cerchia geografica relativamente ristretta. Questa cerchia per certi beni e servizi è il villaggio (il legnaiuol che veglia nella chiusa bottega alla lucerna, e s’affretta e s’adopra di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba), poi si è estesa grazie a mezzi personali di trasporto più rapidi ed efficienti (oggi è normale andare il sabato sera in discoteca in una diversa provincia o a farsi visitare e curare dal medico del capoluogo). Questi potrebbero anche definirsi beni e servizi per i quali è il consumatore che va a loro.
Vi sono poi i prodotti che vanno al consumatore, e per questi il mercato si amplia e si estende al mondo accessibile. Data la possibilità che essi giungano da lontani produttori, questi prodotti si prestano alla concorrenza internazionale. Considerando la conseguente vastità del mercato e della potenziale produzione, si giustificano per questi prodotti grandi investimenti di mezzi produttivi, di intelligenza, di creatività. Impianti e macchinari, ricerche, stile e gusto.
D’altronde l’economia non può restare chiusa nell’ambito del villaggio, limitandosi a scambi fra locali produttori. La varietà dei prodotti e dei servizi disponibili sarebbe fortemente limitata. Mi chiedo se la qualità della vita ne risentirebbe. Penso di si, a meno di avere la vocazione dell’asceta o dello stilita, perso in elucubrazioni metafisiche in cima ad una colonna nel deserto. La situazione sociale rappresentata nel film “l’albero degli zoccoli” non è certo da auspicare. E neanche poi è così lontana nel tempo!
L’Italia ha voluto dire la sua nel campo delle grandi produzioni da mercato internazionale, richiedenti alti investimenti. Penso alla industria meccanica pesante, alla industria chimica, alle acciaierie costruite e presto dismesse, e anche nemmeno entrate in produzione. Errori di programmazione economica. Ma bisogna certo esportare per procurarsi la moneta che ci consenta di importare i beni di cui non disponiamo, o perché sono beni naturali che non si trovano nel nostro territorio o perché altri li producono a condizioni migliori di noi. A meno di essere come gli USA, che hanno un cronico ed enorme deficit commerciale verso l’estero (importano più di quanto esportino), bilanciato però dalla circostanza che la piazza finanziaria del dollaro attira enormi quantità di valuta.
Tra i beni del secondo gruppo, cioè quei beni che vanno al consumatore e quindi consentono un interscambio sistematico con importazioni e esportazioni, ve ne sono alcuni in cui l’Italia è ancora qualificata, ma sono pur minacciati dalla concorrenza internazionale. Dovremo, come da tempo si dice e ci si esorta, concentrarci nella ricerca e progettazione di questi beni, così da raggiungere un’eccellenza che ci consenta di vincere la concorrenza. E’ un’esortazione, ma la creatività non scaturisce da un atto di buona volontà. La sua condizione primaria, l’intelligenza (e tutto sommato ne disponiamo, non so se più o meno degli altri popoli, ma certo ne disponiamo), deve essere stimolata da un ambiente adatto, da una vita di relazione dove l’immaginazione, l’apertura alle idee, la curiosità, fanno premio sulle formalità burocratiche e sulla banalità intellettuale.
Eppure noi abbiamo un’eredità unica proprio nella creatività, e sono le nostre città d’arte. Non sono prodotti che possano essere esportati, bisogna andare ad essi e goderne. L’Italia ha almeno quattro caratteristiche che la rendono unica come paese da visitare e in cui soggiornare: l’arte, il paesaggio, il clima, la gente. Il potenziale turistico è tale che può pareggiare ogni bilancia commerciale e generare ricchezza nazionale. Ho tuttavia l’impressione che in questo campo siamo un po’ al fai da te, a un dinamismo individuale ruspante, ad assenza di programmazione coordinata e di cultura. Mi pare che siamo come dei figli che hanno dissipato l’eredità dei propri antenati. E questa critica va non solo all’imprenditore che costruisce un albergo violentando un paesaggio marino, ma su per li rami a chi non risolve i problemi dei trasporti per le lunghe e le brevi distanze, dello scempio edilizio, del disordine urbanistico. Mah, è difficile destreggiarsi in questo mondo competitivo, dove devono eccellere la sapienza e l’iniziativa sia dei governanti sia dei governati.

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Pubblicato il 19 Novembre 2005
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