L’intimismo artistico di Eva Reguzzoni
La sensazione di trovarsi di fronte a una sorta di diario inconscio e emozionale in fieri
Eva Reguzzoni è un’artista intimista, che ha concentrato la propria ricerca artistica intorno alle problematiche della vita interiore, al racconto della natura umana attraverso i manufatti e le implicazioni manipolatorie della materia.
A KCC si presenta quasi come un’antropologa e propone un trittico – presunto (che potrebbe essere vero solo sulla base di congetture, indizi e simili, ma può anche rivelarsi falso) – composto da tre cassette sovrapposte, contenenti frammenti di materia scomposta, reperti e testimonianze di ricordi perduti.
Ognuna riflette l’intima presenza di un sé: i cocci di ceramica come frammenti del sé; le conchiglie e i residui marini rappresentano gli involucri del sé; mentre i sassi e materiali raccolti in riva al lago sono veri e propri oggetti del sé, sormontati dalla presenza inquietante e significativa di una pelle di serpente realizzata in terraglia.
La mutevolezza del serpente così come l’ordinamento dei materiali all’interno delle cassette, seguono la legge della casualità causale e trasmettono all’osservatore la sensazione di trovarsi di fronte a una sorta di diario inconscio e emozionale in fieri. I confini frastagliati dei materiali raccontano attivamente il ruolo della cultura umana e del suo rapporto con la natura, creando una visione olistica, in cui natura e esperienza si incontrano, per dire che il tutto è più che la somma fra le parti.
KCC è un “artist-run space” situato in una cappella votiva risalente al XVI – XVII secolo. KCC è una finestra culturale, un luogo che vuole suggerire l’importanza della contingenza, dell’effimero, del momento unico e irripetibile, proponendo la precarietà e la leggerezza come valore. Le opere non sono soltanto ospitate in questo spazio ma entrano a farne parte, diventando una presenza che – subendo la contingenza del tempo – si fa assenza e dimenticanza, o, tuttalpiù, memoria. Realizzate appositamente per questo progetto – che si configura come una sorta “stazione” sperimentale” – vivranno di un loro tempo specifico, più o meno dilatato, potranno anche sovrapporsi una all’altra, alcune opere cambieranno, spariranno, altre si aggiungeranno, in un intreccio e minima stratificazione di senso, dialogando per assonanze o per opposizione a sottolineare differenze e inediti punti di vista.
a cura di Valentina Petter
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