Condannati i No Border che occuparono un radar di Malpensa
Quattro mesi con pena sospesa per aver fatto resistenza agli agenti durante la dimostrazione contro il rimpatrio di alcuni migranti nell'aeroporto sbagliato. Presidio davanti al tribunale

Sono stati condannati a 4 mesi di reclusione con pensa sospesa per resistenza a pubblico ufficiale i tre No Border che lo scorso 24 agosto salirono su una torre radar di Malpensa per protestare contro il rimpatrio in Sudan di un gruppo di migranti che da tempo cercava di attraversare la frontiera a Ventimiglia. Il giudice Renata Peragallo ha accolto la richiesta del procuratore capo di Busto Arsizio Gianluigi Fontana.
Come avvenne per la convalida dell’arresto anche questa volta un nutrito drappello di militanti del movimento che si batte per la libera circolazione delle persone, è giunto a Busto Arsizio da Milano, Genova, Ventimiglia a sostegno dei tre finiti sotto accusa. Un gruppo di loro ha preso parte all’udienza e ha accolto la sentenza senza battere ciglio mentre gli altri sono rimasti all’esterno, controllati da un cordone di sicurezza creato dalla Polizia di Stato. Il presidio si è svolto in maniera pacifica e ordinata.
I tre condannati, la mattina del 24 agosto, erano riusciti a scavalcare con una certa facilità e senza essere notati da nessuno, la recinzione delle piste dell’aeroporto, aiutati solo da un grosso tappeto, utilizzato per evitare il contatto con il filo spinato. Una volta entrati nell’area si sono diretti alla torre radar che hanno occupato per alcune ore, convinti che il volo di rimpatrio per i sudanesi partisse da Malpensa. In realtà l’aereo era partito dall’aeroporto di Torino.
Dopo aver srotolato uno striscione di protesta contro questa pratica, sono stati circondati dagli uomini della Polaria e fatti scendere dopo una trattativa durante la quale hanno minacciato di buttarsi giù nel caso in cui gli agenti avessero deciso di intervenire per sgomberarli. Proprio per questo fatto sono stati accusati di resistenza a pubblico ufficiale.
A nulla è valsa l’arringa dei difensori che hanno inquadrato il gesto nell’ambito di un gesto di disobbedienza civile contro un atto che, a loro giudizio, è illegale e violerebbe i diritti dell’uomo.
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