Storie di rifugiati in esilio dal mondo
Gli abitanti di via Pola raccontano la loro storia di persone alla ricerca di una nazione in cui fermarsi, e del limbo in cui vivono dal loro sbarco a Malpensa
| A vederla è una bella villetta, solo un pò vecchia, ma tenuta bene e abitata da persone perbene.
Ma la Palazzina di via Pola al 10 è anche un luogo ai margini, per persone che hanno trovato un alloggio precario, il cui culmine della precarietà è stato raggiunto proprio in questi giorni. Lì circa 11 persone, tra cui si annoverano un’insegnante, un medico e un fisico petrolifero, hanno vissuto fino ad ora e da lunedì se ne dovranno andare. Hanno tutti un permesso di soggiorno, benchè temporaneo in attesa della decisione sulle loro sorti, sono cortesi, beneducati e con buona proprietà di linguaggio, anche in italiano. Si vede che la loro vita, prima di arrivare qui, era tutta diversa da quella di chi vive ai margini della società. "Siamo arrivati a Malpensa il 19 dicembre del 1999 con un visto per turismo – racconta Dora (nella foto con il marito, i primi a destra), 32 anni insegnante elementare a Cuba, il paese da cui proviene con il marito Gerardo – Asilo politico l’abbiamo chiesto però solo a Varese, dove siamo andati perché c’erano alcuni parenti di nostri amici" Da allora è cominciata l’attesa comune a tutti i richiedenti asilo: ciò che dovrebbe accadere entro 45 giorni, la convocazione a Roma per discutere della richiesta, avviene non prima di un anno, dopodichè si aspetta dalla questura il responso sulle proprie sorti."Noi a Roma ci siamo già andati sette mesi fa: da allora aspettiamo ancora risposta – continua Dora – un nostro amico dell’angola che abita qui è venuto a Roma con noi e ha già anche asilo. Forse per noi è passato così tanto tempo perchè siamo cubani e la nostra situazione può essere più delicata politicamente, ma noi abbiamo bisogno di sapere cosa possiamo fare qui" Gli occhi di Dora si velano: lo stress subito è tanto, l’incertezza per il domani è totale, la loro situazione di esiliati impedisce loro di ritornare indietro, i loro parenti non ricevono nemmeno le lettere che gli spediscono. E qui, in Italia, non possono avere un lavoro regolare perchè la legge vieta la concessione di permessi di lavoro nel periodo in cui attendono la concessione della richiesta. Anni di precariato e di lavoro nero, di lavori umili o di elemosina, per ingegneri dottori laureati che hanno avuto la sfortuna di ritrovarsi in un paese in guerra o che sono ideologicamente contrari ai regimi dittatoriali dei loro paesi. Così lei, insegnante elementare, è riuscita solo a rimediare qualche servizio di pulizia – in nero naturalmente, ma d’altra parte la legge, e i suoi tempi, quasi "istigano" a questo tipo di irregolarità – mentre per il marito, medico degli ospedali cubani specializzato in chirurgia plastica, non c’è stato nemmeno quello "il suo lavoro per me è una responsabilità: mia suocera mi aveva avvertito quando abbiamo deciso di andarcene, che lui correva questo rischio…" Il rischio di non essere più quello che si è stato, di dover abdicare alle conoscenze acquisite e alle legittime aspirazioni di carriera per finire a mendicare un panino "E’ una cosa terribile, ti dolgono la dignità in questa attesa…" Ma di dignità invece ne ha ancora tanta questa coppia, con il libro di medicina in Italiano sul bracciolo della poltrona per non perdere le conoscenze. Nabil e Amru, invece, sono due fratelli, di 36 e 31 anni, che stanno facendo le pratiche per essere considerati apolidi. Sono sbarcati a Malpensa il 26 gennaio del 2000, dopo aver passato un avita in giro per il mediterraneo e per l’Europa. Palestinesi ma nati all’estero perché esiliati fin dalla generazione dei suoi genitori, tutto quello che hanno è un documento egiziano di viaggio per rifugiati dalla Palestina e una documento di "attesa di definizione pratica" che viene loro periodicamente rilasciato dalla questura di Varese. Non hanno perciò un permesso di soggiorno,ma non sono nemmeno clandestini perché legalmente in attesa di una soluzione che ogni mese si fa più lontana. "Abbiamo già provato a chiedere asilo politico, appena sbarcati a Malpensa. Ma come ne abbiamo fatto richiesta, siamo stati trasportati dalla polizia a Varese dove ci hanno dato un decreto di espulsione. Ci hanno però consigliato di chiedere di essere dichiarati apolidi, visto la nostra particolare condizione: abbiamo già fatto richiesta al tribunale di Varese e appello a quello di Milano, che ce l’hanno rigettata. Ora il nostro caso è nelle mani dell’ACNUR (il consiglo nazionale per i rifugiati) di Roma, perchè si possa trovare una soluzione percorribile. Nabil ha studiato, in Polonia, per diventare operatore turistico, Amru ha studiato, in Egitto, Economia. Ora si arrangiano trovando lavoretti:"più che altro ci danno da caricare e scaricare casse, ma va bene così".Chissà quando Nabil potrà aspirare ad un lavoro in albergo… Insieme a loro, altre cinque persone abitano la villetta di via Pola: Bocassa, studente del congo, Fredy anch’esso congolese, Alimu della Sierra Leone, Imad e Mahmud cuoco palestinese e Abu, operaio della Sierra Leone. Tutti insieme hanno scritto una rispettosa lettera, indirizzata alla Caritas decanale, ai servizi sociali di Varese, all’ufficio immigrati e alla prefettura. Chiedendo che non vada a finire in strada il loro percorso per trovare una nuova patria. |
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